Insight | 15.07.2024

Il Decreto “Aree Idonee” per gli impianti a fonti rinnovabili

Ora spetta alle Regioni, emanare, nei successivi 180 giorni, le proprie leggi con le quali individuare le aree ove è possibile realizzare nuovi impianti a fonti rinnovabili e quelle dove invece è vietato


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1. Premessa

Con oltre due anni di ritardo, il 3 luglio 2024 è entrato in vigore il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica del 21 giugno 2024, emanato di concerto con il Ministro della Cultura e con il Ministro dell’agricoltura, recante la Disciplina per l’individuazione di superfici e aree idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili (il “DM Aree Idonee” o il “DM”).

Ora spetta alle Regioni, emanare, nei successivi 180 giorni, le proprie leggi con le quali individuare le aree ove è possibile realizzare nuovi impianti a fonti rinnovabili e quelle dove invece è vietato.

Il DM tanto atteso e che dà attuazione all’art. 20 del decreto legislativo n. 199/2021 ha però scontentato gran parte degli operatori economici e delle associazioni di categoria operanti nel settore delle rinnovabili, preoccupati del forte decentramento che con esso è stato operato a favore delle Regioni a cui effettivamente il provvedimento lascia ampia discrezionalità nella scelta localizzativa delle aree idonee e di quelle non idonee. Il che poterà a un inevitabile proliferarsi di regimi diversi da Regione a Regione e a un possibile aumento del contenzioso amministrativo, rendendo così più difficile raggiungere l’obiettivo indicato all’art. 2 del DM stesso.

Ma andiamo con ordine.

2. Le principali disposizioni del DM Aree Idonee

Come esplicitato all’art. 1 del DM in esame, la misura regolamentare ha una duplice finalità:

  1. individuare la ripartizione tra le Regioni e le Province autonome dell’obiettivo nazionale al 2030 di potenza aggiuntiva pari a 80 GW da fonti rinnovabili rispetto al 31 dicembre 2020, necessaria per raggiungere gli obbiettivi fissati dal PNIEC e rispondente ai nuovi obiettivi derivanti dall’attuazione del pacchetto “FIT for 55” (cd. burden sharing);
  2. stabilire principi e criteri omogenei per l’individuazione da parte delle Regioni delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti FER funzionali al raggiungimento dell’obiettivo nazionale di cui sopra in linea con il principio della neutralità tecnologica.

L’art. 1 prosegue poi nello specificare 4 diverse tipologie di aree che le Regioni sono tenute a individuare, garantendo l’opportuno coinvolgimento degli enti locali.

Si tratta in particolare delle:

a) superfici e aree idonee: è previsto un iter accelerato ed agevolato per la costruzione ed esercizio degli impianti a fonti rinnovabili e delle infrastrutture connesse secondo le disposizioni vigenti di cui all’articolo 22 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 (espressione del parere obbligatorio ma non vincolante dell’autorità competente in materia ambientale; dimidiazione di un terzo dei termini di conclusione dei procedimenti autorizzativi, utilizzo della procedura abitativa semplificata – PAS – fino a 12 MW di potenza, innalzamento delle soglie screening e VIA rispettivamente a 12 MW e 25 MW);

b) superfici e aree non idonee: aree e siti le cui caratteristiche sono incompatibili con l’installazione di specifiche tipologie di impianti secondo le modalità stabilite dal paragrafo 17 e dall’Allegato 3 delle linee guida emanate con decreto del Ministero dello Sviluppo economico 10 settembre 2010;

c) superfici e aree ordinarie: sono le superfici e le aree diverse da quelle delle lettere a) e b) e nelle quali si applicano i regimi autorizzativi ordinari di cui al decreto legislativo n. 28 del 2011 e successive modifiche e integrazioni;

d) aree in cui è vietata l’installazione di impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra ai sensi dell’articolo 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199 (si tratta della disposizione introdotta dall’art. 5 del decreto-legge n. 63/2024, – di recente convertito in legge – (“DL Agricoltura”), il quale vieta la realizzazione di nuovi impianti nelle aree ricadenti in zone classificate come agricole dai piani urbanistici).

L’art. 2 del DM reca poi la tabella A nella quale viene tracciata, per ciascuna Regione, la traiettoria di conseguimento pro-quota dell’obiettivo di potenza complessiva da traguardare come Paese al 2030.

Per il conseguimento di detto obiettivo, l’art. 3 dispone che le Regioni sono chiamate a individuare, ai sensi dell’art. 20, comma 4 del citato decreto legislativo, n. 199/2021, con propria legge, entro 180 giorni dalla entrata in vigore del decreto ministeriale (3 luglio 2024) le aree idonee e quelle non idonee secondo i principi e criteri stabiliti dall’art. 7 del DM (v. infra).

3. Monitoraggio e controllo

L’art. 4 del DM dispone che il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (“MASE”), con il supporto del GSE, provvede al monitoraggio e alla verifica degli adempimenti a carico delle Regioni e delle Province Autonome sia in termini di emanazione degli atti legislativi che di raggiungimento degli obiettivi annuali fissati nella tabella A di cui al precedente art. 2.

Detto monitoraggio è propedeutico all’esercizio dei poteri sostitutivi in capo allo Stato in caso di mancata adozione dei provvedimenti legislativi, nei termini sopra indicati, o di scostamento negativo dagli obiettivi previsti per l’anno 2026.

Più nello specifico, ai sensi dell’art. 6, in caso di mancata adozione delle leggi regionali di individuazione delle aree idonee e di quelle non idonee entro i termini sopra indicati, il MASE propone al Presidente del Consiglio degli schemi di atti normativi di natura sostitutiva da adottare in Consiglio dei ministri e aventi le caratteristiche stabilite dall’art. 41, comma 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 234. Non sono previsti, tuttavia, né (i) il termine entro cui il MASE debba proporre lo schema, né (ii) quello entro cui il Presidente del Consiglio debba adottarlo.

Parimenti in caso di scostamenti dalla traiettoria dei target fissati nella menzionata Tabella A, a partire dal 1° gennaio 2026, il MASE invita la Regione interessata a presentare entro trenta giorni osservazioni al fine di valutare in che misura lo scostamento sia attribuibile all’operato della Regione o delle Provincia Autonoma. Viene poi assegnato un ulteriore tempo supplementare di sei mesi alle amministrazioni interessate per attivarsi prima di esercitare eventuali poteri sostitutivi.

4. I criteri per l’individuazione delle aree idonee: il DL Agricoltura convertito in legge e le linee guida per le Regioni.

Il cuore del provvedimento è poi rappresentato dall’articolo 7 dove sono contenuti i criteri e i principi per l’individuazione delle aree idonee. È questa la disposizione che individua dove è idoneo installare impianti FER e dove non lo è.

La norma, in primo luogo, fa salvo quanto previsto dall’art. 5 del DL Agricoltura che, come noto, vieta la realizzazione di impianti fotovoltaici nelle zone classificate come agricole dai vigenti piani urbanistici, con la finalità specifica di” preservare” tali terreni alla sola coltivazione.

Tale divieto è stato confermato anche dalla recente legge di conversione approvata definitivamente dalla Camere dei Deputati lo scorso 11 luglio 2024 (la “Legge di Conversione”).

In tale contesto, è stata confermata la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole esclusivamente in alcune tipologie delle c.d. “aree idonee” espressamente individuate dall’art. 20 del d. lgs. n. 199/2021, quali, ad esempio, cave e miniere, aree nella disponibilità di Ferrovie dello Stato e dei concessionari autostradali, aree dei sedimi aeroportuali, aree interne agli impianti industriali e agli stabilimenti, nonché aree classificate agricole racchiuse in un perimetro i cui punti distino non più di 500 metri dal medesimo impianto o stabilimento, e aree collocate entro 300 metri dalle autostrade.

La Legge di Conversione, inoltre, ha confermato le due eccezioni al divieto già introdotte dal DL Agricoltura, rendendo possibile l’installazione in aree agricole di:

  1. impianti con moduli collocati a terra funzionali alle Comunità Energetiche Rinnovabili (C.E.R.);
  2. impianti rientrati in progetti finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (“PNRR”) o dal Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR (“PNC”);
  3. impianti necessari per il conseguimento degli obiettivi del PNRR (quali gli impianti agrivoltaici c.d. avanzati).

Infine, la Legge di Conversione ha sostituito il secondo comma dell’art. 5 del DL Agricoltura, introducendo un regime transitorio dettagliato, in forza del quale il divieto in questione non si applicherà ai progetti per cui, alla data di entrata in vigore del decreto-legge, sia stata avviata almeno una delle procedure amministrative, comprese quelle di valutazione ambientale, necessarie per ottenere i titoli per la costruzione ed esercizio degli impianti e delle relative opere connesse, ovvero sia stato rilasciato almeno uno dei titoli medesimi.

In sintesi, ferma la disciplina delle aree agricole, ai fini dell’individuazione delle aree idonee e del raggiungimento degli obiettivi, le Regioni dovranno tener conto dei seguenti criteri:

  1. la massimizzazione delle aree da individuare al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A dell’art. 2;
  2. le esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa;
  3. la possibilità di classificare le superficie o le aree come idonee differenziandole sulla base della fonte, della taglia e della tipologia di impianto;
  4. la possibilità di fare salve le aree idonee di cui all’art. 20, comma 8 del d. lgs n. 199/2021 (e., aree individuate ex lege dal legislatore nelle more dell’emanazione del presente decreto che, quindi, non vengono più confermate come categoria vincolante).

Come si vede si tratta di criteri piuttosto generici e di ampia formulazione, molti dei quali costituiscono, oltretutto, la fedele riproduzione di quanto già indicato all’art. 20, comma 3 del d. lgs. n. 199/2021; sicché, da questo punto di vista, il DM non aggiunge nulla al quadro normativo già esistente.

Si intuisce, quindi, come l’assenza di un quadro chiaro e uniforme a livello statale possa portare le Regioni ad attuare questi criteri in modo assai diversificato e con ampia discrezionalità.

Tale decentramento trova poi il suo culmine nelle previsioni di cui all’art. 7, comma 3 in tema di individuazione delle aree non idonee. Su tale argomento si era già aperto un forte dibattito con le Regioni, superato poi in sede di Conferenza Unificata in cui è stata accolta l’attuale formulazione della norma, quale emendamento “condizionante” posto dalle Regioni stesse.

In forza della disposizione in commento, le Regioni dovranno considerare come non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi dell’art. 10 e dell’art. 136, comma 1 lettera a) e b) del d. lgs 22 gennaio 2004 (il “Codice dei Beni Culturali”). Si tratta in particolare dei beni culturali e delle cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali, nonché le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza. Oltre a queste aree, le Regioni potranno individuare come non idonee altre aree ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei Beni Culturali.

Il generico richiamo agli “altri beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, senza ulteriore specificazione della tipologia di beni tutelati cui ci si intende riferire, è elemento che desta preoccupazione considerato che i beni sottoposti a tutela sono innumerevoli.

In aggiunta, le Regioni avranno anche la possibilità di stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela, anche qui non meglio specificati, fino a un massimo di 7 chilometri di ampiezza: tale fascia di rispetto dovrà in ogni caso essere opportunamente differenziata a seconda della tipologia di impianto FER e dovrà altresì essere proporzionata al bene oggetto di tutela.

In ogni caso, tale possibilità conferma la perplessità di cui sopra posto che anche in tale caso viene decentrata a livello regionale una scelta discrezionale assai rilevante in sostanziale assenza di criteri uniformi applicabili sull’intero territorio nazionale.

In proposito, si ricorda che nel d. lgs. n. 199/2021 la fascia di rispetto era stata prevista solo con riferimento ai beni vincolati ai sensi della parte seconda del Codice dei beni Culturali e del paesaggio (beni culturali) oppure dall’art. 136 del medesimo Codice (beni di notevole valore paesaggistico) ed era pari a tre km per gli impianti eolici e 500 metri per quelli fotovoltaici.

La sensazione complessiva che emerge dall’esame dell’art. 7, comma 3 è quella di un possibile aumento delle aree non idonee in netto contrasto con quanto previsto dalle raccomandazioni della Commissione Europea 2022/822 del 18 maggio 2022 e n. 1343 del 13 maggio 2024 in forza delle quali gli “Stati Membri dovrebbero limitare al minimo necessario le zone di esclusione in cui l’energia rinnovabile non può essere sviluppata”.

In tal senso, sarà interessante verificare se le Regioni nell’attuare l’art. 7, comma 3 terrano conto di quanto previsto dalla norma dove nella parte finale si precisa che “nell’applicazione del presente comma deve essere contemperata la necessità di tutela dei beni con la garanzia di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A dell’art 2 del decreto”.

5. L’assenza di un regime transitorio

Da segnalare, infine, che nella versione approvata, su richiesta delle Conferenza Unificata è stata eliminata la norma relativa al regime transitorio che faceva salvi i procedimenti avviati in data antecedente alla data di entrata in vigore delle leggi e dei provvedimenti adottati dalle Regioni e dalle Province autonome in attuazione dell’articolo 3. Con la precisazione che tali procedimenti potevano essere conclusi ai sensi della disciplina regionale e statale previgente.

L’assenza di un regime transitorio (fatto salvo quanto previsto dalla Legge di Conversione del DL Agricoltura) comporterà, inevitabilmente, la formazione di orientamenti contrapporti, con una conseguente proliferazione di contenziosi amministrativi: secondo i più rigorosi, infatti, i procedimenti amministrativi in corso e ancora non conclusi alla data di entrata in vigore del DM Aree Idonee dovranno tener conto di quanto previsto dal suddetto DM; secondo altri, invece, a tali procedimenti  continuerà ad applicarsi il quadro normativo vigente al momento della presentazione dell’istanza da parte del richiedente.

6. Conclusioni

In conclusione, il DM Aree Idonee lascia aperte diverse questioni: in particolare, senza una cornice di principi omogenei e uniformi, capaci di indirizzare la successiva attività di selezione delle aree da parte delle Regioni, vi è il rischio che si crei una disciplina frammentaria e disomogenea all’interno del territorio nazionale.

Il che, oltre a rendere incerto il quadro normativo, potrebbe disincentivare gli investimenti, necessari per conseguire gli obiettivi fissati dal DM e in specie il raggiungimento di 80 GW di nuovi impianti rinnovabili.

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