Tornano i cosiddetti costi minimi dell’autotrasporto, la cui funzione appare però poco chiara. Il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti ha da poco annunciato l’atteso decreto sui costi di riferimento dell’attività di autotrasporto merci.
Davide Magnolia e Carlo Solari hanno esaminato il Decreto direttoriale 206 del 27 novembre 2020 pubblicato dal Mit che riporta in auge la vexata quaestio dei costi minimi, accantonata dalla precedente riforma dell’autotrasporto in ossequio anche ai principi Ue in materia antitrust: il legislatore ha prima abolito il vecchio impianto delle tariffe a forcella e in seguito, in applicazione dei principi espressi nella sentenza della Corte di Giustizia europea 4 settembre 2014 C-163/2013, ha cancellato anche il sistema di regolazione obbligatoria dei costi minimi di esercizio, sancendo il principio secondo cui «nel contratto di trasporto, anche stipulato in forma non scritta, i prezzi e le condizioni sono rimessi all’autonomia negoziale delle parti, tenuto conto dei principi di adeguatezza in materia di sicurezza stradale e sociale» e sostituendo ai costi minimi i valori indicativi di riferimento, che dovrà individuare il Mit. Il secondo punto fermo è che il Decreto direttoriale, «che non ha rango di legge ma è un atto amministrativo ricognitivo, sottolinea che i costi di esercizio non hanno natura cogente». Dunque che rilevanza giuridica hanno? Questa la probabile risposta: «I costi indicativi di riferimento potranno essere utilizzati come parametro per negoziare l’ammontare del compenso del singolo trasporto alla luce dei principi di sicurezza stradale e sociale». Non si può poi escludere che potranno essere presi in considerazione anche nelle controversie tra committenza e vettore in cui si faccia questione del livello di servizio (o disservizio) prestato dal vettore».
Qui l’articolo di MF Milano Finanza a cura di Nicola Capuzzo.