News , Talk | 15.11.2019

“Who is the portrait of?”: chi sono i protagonisti delle foto più iconiche della storia?


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Non è facile scattare una fotografia “al momento giusto”, ovvero immortalando un determinato evento storico, irripetibile, riuscendo al contempo a trasmettere tutta l’emozione e le sensazioni che probabilmente chi c’era ha provato. Ciò è accaduto, per esempio, nello scatto che ritrae un’infermiera e un marinaio che si baciano a Time Square alla fine della guerra contro il Giappone, nel ritratto della ragazza afgana dallo sguardo magnetico di McCurry, ed ovviamente – come non citarla – nella foto degli undici lavoratori newyorkesi, alle prese con il pranzo, seduti su una trave d’acciaio a centinaia di metri di altezza.

Una fotografia in particolare, però, è recentemente venuta all’onore delle cronache, ovvero quella che ritrae il gruppo di Marines che issarono la bandiera a stelle e strisce sulla cima del monte Suribachi durante la battaglia di Iwo Jima nel 1945. Quest’ultima, scattata da Joe Rosenthal, giornalista della Associated Press, è stata oggetto di una lunga e difficile storia di ricostruzione dell’identità dei sei Marines lì raffigurati, terminata solo pochi giorni fa, quando anche Kay Maurer, figlia del caporale Harold «Pie» Keller, ha conosciuto la verità. Suo padre, infatti, era uno dei sei militari così gloriosamente passato alla storia, e ritratto in uno degli scatti più riprodotti sui quotidiani del tempo e non solo. Un’immagine che è stata anche rappresentata nel “Marine Corps War Memorial”, detto “Iwo Jima Memorial”, costruito ad Arlington in Virginia.

La scoperta dell’identità delle persone ritratte in queste famose fotografie porta con sé sicuramente una certa soddisfazione, ma anche alcune domande. Per esempio, che cosa potrebbe pretendere la figlia di Keller per l’utilizzo del ritratto del padre?

Se dovessimo rispondere applicando la legge italiana, innanzitutto la riproduzione dell’immagine del caporale Keller avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzata, se venissero applicati l’articolo 10 del Codice civile e dall’articolo 96 della Legge sul Diritto d’Autore. Per rappresentare il ritratto di un soggetto, infatti, è necessario il consenso espresso della persona stessa oppure degli stretti congiunti nel caso di suo decesso. Qualora questo manchi, resta fermo il diritto di agire in giudizio contro tale violazione, per ottenere la cessazione della riproduzione non autorizzata dell’immagine e il risarcimento del danno subito.

Tuttavia, esistono delle deroghe. L’articolo 97 L.d.a., prevede che il consenso non sia necessario quando la pubblicazione delle foto, che includono il ritratto altrui, sono collegate alla documentazione di fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltosi in pubblico. Il diritto all’immagine diventa così “sacrificabile” solo a favore di un altro diritto, protetto ad uguale livello e da ritenere prevalente, ovvero quello della libertà dell’informazione e della pubblica utilità connessa alla divulgazione dell’immagine stessa.

Il 23 febbraio 1945, durante la battaglia di Iwo Jima, la bandiera americana venne issata sul monte Suribachi come segno di conquista di un luogo strategico per il controllo della zona e fu uno dei primi eventi significativi della battaglia. Per i fotografi presenti, non c’era immagine migliore che potesse immortalare un primo successo americano in una guerra, quella contro il Giappone, che si sarebbe rivelata lunga e sanguinosa.
Una fotografia entrata così nella memoria collettiva della storia degli Stati Uniti d’America come potrebbe non rientrare nell’eccezione dell’articolo 97 L.d.a.?

Sotto altro profilo, la scoperta dell’identità del Marines non incide, invece, sui diritti riconosciuti e/o riconoscibili a chi sta “dall’altra parte dell’obiettivo”, diritti che, tuttavia, è comunque interessante analizzare. Quale tutela può essere riconosciuta all’autore della fotografia? Il fatto che quest’ultima sia famosa o iconica, incide in qualche modo sulla sua qualificazione giuridica?

Se questo scatto fosse considerato una fotografia semplice, una mera rappresentazione della realtà, il diritto di esclusiva riconosciuto all’autore avrebbe una durata di 20 anni dal giorno in cui la foto è stata prodotta. Per utilizzarla, quindi, sarebbe sufficiente formulare una mera richiesta di autorizzazione e corrispondere all’autore un c.d. equo compenso per poterla poi pubblicare su quotidiani o altri periodici. Diversamente, se in essa fossero riconoscibili la fantasia, l’abilità, la scelta consapevole e il gusto personale dell’autore, lo scatto potrebbe essere considerato un’opera fotografica creativa e i diritti patrimoniali e morali dell’autore sarebbero tutelati secondo la legge sul diritto d’autore per una durata di 70 anni dal giorno della sua morte.

Come ci insegna una recente decisione del Tribunale di Roma, l’oggetto dell’indagine della natura artistica e creativa della fotografia non deve guardare solamente al suo contenuto (in questo caso, una scena di pubblico interesse, apparsa su quotidiani e periodici del tempo), ma anche (e soprattutto, forse) alla modalità con cui questa fu scattata. Si narra che Rosenthal, dopo essersi appostato, fosse stato distratto da un altro fotografo e che si accorse, solo con la coda dell’occhio ed in maniera del tutto fortuita, che dei soldati stavano issando la bandiera statunitense. Scattò, insomma, senza nemmeno guardare nel mirino. Difficile, in questo caso, quindi, ritenere che l’opera possa avere il valore artistico richiesto per la tutela autorale.

Forse, alla fine, davanti a grandi fotografie che hanno fatto la storia è meglio evitare di chiedersi “Who is the portrait of?”, ma interrogarsi solamente su che cosa possono aver provato quelle persone in quel momento e limitarsi ad apprezzare lo scatto così com’è, con la sua intrinseca poeticità.

Senior Associate
Miriam Loro Piana

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