Il legislatore europeo in un’ottica di traghettamento del sistema produttivo verso logiche di economia circolare, dapprima, con il Piano d’azione per l’economia circolare del dicembre 2015 e, successivamente alla pubblicazione del Green Deal europeo, con il Nuovo Piano d’azione per l’economia circolare del marzo 2020, ha sottolineato la necessità di ripensare le logiche di progettazione di materiali e prodotti, nonché il bisogno di incoraggiare una progettazione più sostenibile mediante l’impiego di materiali riutilizzabili.
La soddisfazione di tali esigenze, in termini pratici, passa attraverso l’attuazione del principio fondamentale della responsabilità estesa del produttore o Extended Producer Responsibility (EPR). Il concetto di EPR, istituto fondamentale nel contesto della disciplina ambientale europea, coniato oramai trenta anni fa e posto alla base dello sviluppo dell’industria del riciclo, muove dal più noto principio “chi inquina paga”– che si basa sulla necessità di intervenire a monte dei processi produttivi – ma va ben oltre, emendandone i limiti e ribaltandone la prospettiva: non più inquinare e poi pagare i danni causati, bensì immettere responsabilmente nel mercato prodotti e/o servizi. Laddove “responsabilmente” allude a beni prodotti con il minor dispendio possibile di materie prime e a beni pensati sin dall’origine per avere un limitato impatto sull’ambiente e che siano corredati di servizi per il loro recupero o riciclo.
La responsabilità estesa del produttore è stata riportata al centro della scena della gestione del rifiuto nella fase successiva al consumo grazie all’adozione della Direttiva 2018/851/UE (“Direttiva”); una delle quattro direttive del cd. “Pacchetto economia circolare” che, a sua volta, rappresenta uno dei traguardi di maggior rilievo conseguiti nel contesto del Piando d’azione per l’economia circolare del 2015. Il principio EPR in questione non è stato oggetto d’attenzione unicamente da parte del citato piano d’azione ma è stato protagonista anche del successivo Nuovo Piano d’azione che, ad oggi, è in piena fase di attuazione.
Più nel dettaglio l’EPR, viene inteso come strumento di politica ambientale con il quale la responsabilità del produttore di un bene è estesa alla fase post-consumo del ciclo di vita di un prodotto. Ai sensi della Direttiva – che in Italia è stata recepita il 26 settembre 2020 mediante il d. lgs. 116/2020 – con il termine “regimi di responsabilità estesa del produttore” si fa riferimento ad una serie di misure adottate dagli Stati membri volte ad assicurare che ai produttori di prodotti spetti la responsabilità finanziaria o quella finanziaria e operativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto, incluse le operazioni di raccolta differenziata, di cernita e di trattamento, da attuarsi in forma individuale o collettiva. Tale obbligo può comprendere anche la responsabilità organizzativa e la responsabilità di contribuire alla prevenzione dei rifiuti e alla riutilizzabilità e riciclabilità dei prodotti. In sostanza, i produttori dei prodotti devono contribuire alla gestione del rifiuto senza lasciare che tale onere ricada esclusivamente ed interamente sui consumatori finali.
Se calati nel settore agroalimentare, i regimi di EPR costituiscono indubbiamente uno strumento di prevenzione della produzione di rifiuti alimentari (i.e. alimenti secondo la definizione di cui all’art. 2 del Regolamento (CE) n. 178/2002
che sono diventati rifiuti); tema a cui la Direttiva dedica particolare attenzione. Infatti, addossare i costi di gestione del fine vita degli alimenti, ivi inclusi quelli degli imballaggi (sia primari che secondari) all’interno dei quali sono contenuti, da un lato, induce i produttori e i distributori a tenere concretamente in considerazione l’effettiva domanda di mercato, limitando le eccedenze e gli sprechi alimentari lungo la filiera agroalimentare, dall’altro, apre la strada all’incentivazione di modelli di eco-design e upcycling dei processi produttivi alimentari.
La garanzia di una corretta implementazione dell’istituto della responsabilità estesa del produttore nel settore agroalimentare e, dunque, la prevenzione e il contenimento della degradazione degli alimenti passa necessariamente attraverso:
- i)il ripensamento delle logiche di etichettatura dei prodotti agroalimentari in chiave di etichettatura ambientale, che nel sistema del diritto alimentare si configurano quali informazioni volontarie sugli alimenti ai sensi dell’art. 36 del Regolamento (UE) 1169/2011;
- ii)l’implementazione di sistemi produttivi basati sull’eco-design e sull’upcycling; termini utilizzati per indicare rispettivamente modelli che privilegiano l’impiego di risorse materiali ed energetiche rinnovabili e modelli di trasformazione dei rifiuti e/o degli scarti in una risorsa ad alta redditività per un’altra filiera produttiva.
Sono diversi gli Stati membri che hanno recepito la Direttiva e che si sono attivati disciplinando l’etichettatura ambientale degli imballaggi. In Italia, l’etichettatura ambientale è disciplinata dal d.lgs. 116/2020 che, all’atto di recepire le direttive in materia di rifiuti, imballaggi e rifiuti di imballaggi (i.e. Direttiva 2018/851/UE e Direttiva 2018/852/UE), ha determinato una sostanziale modifica della Parte IV del Testo Unico Ambientale introducendo, tra le altre novità, le cosiddette etichette ambientali.
Quanto all’esperienza francese, la “LOI no 2020-105 du 10 février 2020 relative à la lutte contre le gaspillage et à l’économie circulaire” ha fissato nuovi obiettivi e nuove regole per una produzione e un consumo più sostenibili. In applicazione dell’art. 17 della suddetta legge, è stato pubblicato il Decreto n. 2021-835 del 29 giugno 2021 relativo all’etichettatura informativa per i consumatori in materia di raccolta dei rifiuti (c.d. “Decreto Triman”).
In forza del Decreto Triman, i produttori, importatori o distributori che introducono sul mercato francese prodotti riciclabili pre-imballati diretti al consumatore finale, tra cui gli alimenti, dovranno recare il logo Triman, accompagnato dalle informazioni (dette “tri-info”) sulle corrette modalità di smaltimento dei relativi imballi (primari), esclusi quelli in vetro per le bevande.
Grazie all’implementazione dei regimi EPR, la produzione di rifiuti e, in particolare, di rifiuti alimentari, a lungo considerata un inevitabile e imprescindibile sottoprodotto dell’attività economica e della crescita, potrà essere arginata assicurando una reale ed effettiva transizione verso sistemi di economia circolare.
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