Nel 2021 abbiamo assistito ad un forte incremento degli investimenti nel Venture Capital in Italia, diverse le motivazioni tra cui anche gli importanti investimenti del Governo e i vari incentivi fiscali. In seguito all’emergenza sanitaria si sono fatte strada nuove esigenze riguardanti l’importanza delle nuove tecnologie soprattutto nell’ambito med-tech, energy, della digitalizzazione dei processi e delle pubbliche amministrazioni che hanno portato ad un grande interesse verso progetti di corporate venture capital per agevolare i processi di innovazione. “Non mi preoccupa la guerra ucraina e gli effetti sul settore del venture capital italiano o europeo perché il capitale per la crescita è un capitale paziente e guarda oltre le crisi”, dice Andrea Messuti, partner di Lca Studio Legale, studio che ha rappresentato, tra gli altri, Cdp Ventures nella realizzazione dello schema di investimento attivo nel mondo automation, Easy Rain nel secondo round di investimento, Indaco Sgr e altri investitori nell’exit di The Data Appeal. “Il life science italiano è ancora sottostimato sotto il profilo della raccolta dei capitali, nonostante un enorme potenziali in termini di scienza e capacità dei nostri centri di ricerca (si veda Genenta Science, startup spin-off del San Raffaele quotata al Nasdaq lo scorso dicembre). La difficoltà nell’investire in life science risiede nel fatto che gli investitori devono avere conoscenze specifiche non sono finanziarie. Questo è un aspetto carente in Italia rispetto ad altri paesi europei”. Sulle questioni legali Messuti taglia corto: “Rispetto a 10 anni fa, l’ecosistema italiano del venture capital è maturato. Noto, con un impatto legale significativo, che le valutazioni proposte sono molto più basse della media degli stessi competitor europei e le risorse investite (salvo rari casi che però iniziano ad avere una certa cadenza), sono più scarse. Ciò comporta due cose: valutazioni basse e molto equity detenuto da subito dai fondi comporta una perdita del controllo eccessivamente rapido dei founder. Ne consegue che quando la società intende fare un round internazionale, molti fondi esteri (Usa o Uk) pur apprezzando la tecnologia sviluppata, sono riluttanti nell’investire in società dove i founder sono già in minoranza. Sotto il profilo legale, ciò comporta la creazione di meccanismi di recupero di equity da parte dei founder abbastanza complessi e questi aspetti possono creare criticità tecniche o negoziali. L’altro aspetto, legato alle risorse investite, riguarda il loro ammontare. In altri paesi europei società attive nello stesso settore di quelle italiane al medesimo stadio di sviluppo sono valutate di più e ricevono più risorse finanziarie. Avendo una potenza di fuoco maggiore da subito possono accelerare velocemente surclassando le startup italiane che, spesso, hanno una tecnologia migliore ma risorse da calibrare con più attenzione”.
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