Premessa
È stata promulgata, lo scorso 31 maggio, la Legge 62/2022, il cosiddetto Sunshine Act (“Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie”), in vigore a partire dal 26 giugno 2022.
Questa nuova legge si pone come obiettivo, nell’ambito della tutela della salute (ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera m), della Costituzione), per finalità di trasparenza, nonché prevenzione e contrasto della corruzione, l’istituzione e la tutela del diritto “alla conoscenza dei rapporti, aventi rilevanza economica o di vantaggio, tra le imprese produttrici di farmaci, strumenti, apparecchiature, beni e servizi, anche non sanitari, e i soggetti che operano nel settore della salute o le organizzazioni sanitarie”.
Dubbi e criticità
L’esame della legge pone delle questioni interpretative rilevanti: tra queste, ad esempio, il rapporto intercorrente tra il “diritto alla conoscenza dei rapporti”, di cui all’art. 1, e la sua concreta applicazione, descritta all’art. 3.
Diversamente da quanto ci si sarebbe potuto aspettare, l’art. 3 non afferma che il diritto sancito all’art. 1 “si esercita nelle forme stabilite dalla presente legge”, ma si limita a disporre che “sono soggette a pubblicità, secondo le disposizioni del presente articolo le convenzioni e le erogazioni in denaro, beni, servizi o altre utilità effettuate a favore di (…)”.
Se la “pubblicità” di cui all’art. 3 fosse solo un modo (e non il modo) in cui il c.d. diritto alla conoscenza dei rapporti viene reso fruibile ai titolari, si potrebbe allora dedurre che tale diritto potrebbe essere esercitato anche in maniera più pervasiva dai soggetti titolati: si pensi, ad esempio, ad una richiesta di accesso o di esibizione che consenta all’istante di visionare i documenti da cui originano i rapporti che la norma vuole rendere trasparenti e conoscibili senza accontentarsi di conoscerne il loro contenuto essenziale, attraverso lo strumento della pubblicazione.
Il parallelismo con il c.d. diritto di accesso di cui alla Legge 241/1991 risulta evidente, con la differenza che quest’ultima norma si applica con riferimento ai soli documenti amministrativi e a favore di quei soggetti che dimostrino di avere un effettivo interesse all’accesso.
Definizioni e ambito di applicazione
Come sopra accennato, l’ambito di applicazione di questa norma è estremamente ampio. Da un punto di vista soggettivo, essa si applica, con riferimento al soggetto “erogante l’utilità”, a qualsiasi soggetto (definito, in maniera un po’ fuorviante, “impresa produttrice”) che:
– ricopra qualsiasi ruolo nell’ambito della produzione o nell’immissione in commercio di beni o servizi (anche non sanitari) nell’ambito della salute umana o veterinaria;
– svolga attività di organizzazione di convegni e congressi riguardati i medesimi oggetti.
Con riferimento al soggetto beneficiario la definizione è anche più ampia. La norma si applica da un lato a qualsiasi soggetto che operi nel settore della salute nonché qualsiasi soggetto appartenente all’area sanitaria e/o amministrativa (definiti come “soggetti che operano nel settore della salute”); dall’altro si applica alle associazioni di pazienti, alle aziende ospedaliere e sanitarie, alle associazioni tra operatori sanitari, le società scientifiche o le fondazioni, alle università o agli istituti di ricerca o a qualsiasi altra organizzazione, pubblica o privata che eroghi prestazioni sanitarie o organizzi attività di educazione continua (definiti come “organizzazioni sanitarie”).
Si noti come l’utilizzo dell’espressione “immissione in commercio”, nel contesto della definizione di “impresa produttrice” (in luogo di “commercializzazione”) può dare adito a qualche ulteriore difficoltà interpretativa. Tale termine viene infatti solitamente utilizzato per identificare la prima immissione nel mercato di un bene; tuttavia, la norma si perita di precisare che la disciplina si applica anche agli intermediari o alle imprese collegate. Il che fa presumere che la norma si applichi a tutti i soggetti che intervengono nella catena distributiva di tali prodotti (o servizi).
Altro dubbio interpretativo sorge in relazione all’ambito oggettivo di applicazione della norma: la disciplina si applica infatti anche a quelle imprese che producano o “immettano in commercio” beni o servizi “non sanitari”, purché “commercializzabili” nell’ambito della salute umana: un fornitore di servizi di ristorazione che fornisce anche strutture ospedaliere (in ipotesi in maniera non prevalente), sarà soggetto all’obbligo di trasparenza?
Infine, l’art. 3 stabilisce un limite di “materialità” ( ) dell’obbligo di pubblicità: sono oggetto di pubblicità le convenzioni e le erogazioni in denaro, beni, servizi o altre utilità effettuate da un’impresa produttrice in favore (i) di un soggetto che opera nel settore della salute quando abbiano un valore unitario maggiore di 100 euro o un valore complessivo annuo maggiore di 1.000 euro; (ii) di un’organizzazione sanitaria quando abbiano un valore unitario maggiore di 1.000 euro o un valore complessivo annuo maggiore di 2.500 euro. Sono, inoltre, soggetti all’obbligo di pubblicità anche gli accordi che producono vantaggi diretti o indiretti (ad esempio, la partecipazione a convegni o eventi formativi, la costituzione di rapporti di consulenza, docenza o ricerca). A riguardo si ritiene che dovrebbero essere applicabili i limiti appena ricordati.
Modalità di adempimento degli obblighi di pubblicità e altre disposizioni
La legge prevede poi, al fine di adempiere agli obblighi di comunicazione e trasparenza in esame, l’istituzione entro sei mesi di un registro pubblico telematico sul sito web del Ministero della Salute sul quale i dati saranno consultabili e liberamente accessibili per un periodo di cinque anni decorrenti dalla loro pubblicazione.
Da ultimo, all’art. 5, paragrafo 6, è prevista una presunzione di prestazione del consenso alla pubblicità e al trattamento dei dati direttamente con l’accettazione dell’erogazione ovvero dei vantaggi sopra citati da parte del soggetto beneficiario. Le imprese produttrici sono tenute comunque a fornire un’informativa ai predetti soggetti e organizzazioni (precisazione probabilmente superflua per quanto concerne le persone fisiche visto che il diritto all’informativa è sancito dal GDPR e non si vede il motivo per cui un così fondamentale diritto di ogni soggetto interessato, avrebbe potuto essere derogato in tale circostanza).
Il riferimento al trattamento dei dati e la scelta di identificare nel consenso la base giuridica del trattamento appare in ogni caso discutibile. Non si comprende infatti perché non si sia ritenuto applicabile piuttosto l’art. 6, paragrafo 1, lettera c), del GDPR che stabilisce (ovviamente limitatamente al caso in cui il trattamento riguardi le persone fisiche e, dunque, per il caso che qui ci riguarda “i soggetti che operano nel settore della salute”) che il trattamento è lecito anche quando “è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento”. Nel caso in esame è proprio la legge che impone all’impresa di pubblicare i dati; inoltre, il responsabile della banca dati (e dunque ai fini privacy altro titolare autonomo del trattamento) sarà il Ministero della Salute, che ben potrà ritenere applicabile la lettera e) del paragrafo 1 dell’articolo 6, secondo cui il trattamento è lecito quando è “necessario per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento”.
Inoltre, è noto che il consenso (si veda l’art. 7 del GDPR), affinché sia valido deve essere liberamente prestato e deve poter essere – eventualmente – revocato; caratteristiche che evidentemente mancano nella fattispecie in esame.
Conclusioni
A chiusura di questa breve disamina appare utile ricordare come disposizioni relative alla trasparenza dei trasferimenti di valore tra mondo imprenditoriale e mondo professionale sanitario, fossero già presenti nel nostro ordinamento sebbene introdotte mediante mere norme etiche di settore.
Con particolare riferimento al Codice Farmindustria, che presenta una disciplina articolata, va ricordato che ovviamente dal lato industria le norme sulla trasparenza dei trasferimenti di valore (disciplinate all’art. 5 del Codice, ai sensi del quale “ogni azienda farmaceutica deve documentare e rendere pubblici ogni anno attraverso un apposito modello (…) i trasferimenti di valore effettuati direttamente o indirettamente con gli Operatori sanitari e con le Organizzazioni sanitarie”) si applicano solo a quei soggetti che aderiscono a Farmindustria. Nonostante la disomogeneità delle modalità di pubblicazione e delle definizioni tra le due norme (etica e positiva), si ritiene che con l’entrata in vigore della legge qui commentata, le norme etiche potranno ritenersi superate.
Non resta quindi che attendere l’istituzione del registro pubblico telematico e l’emissione da parte del Ministero del decreto con cui dovranno essere stabiliti i modelli per le comunicazioni da parte dei soggetti coinvolti. Tale Decreto potrebbe anche essere utile in chiave interpretativa, per superare i dubbi che la legge pone, alcuni dei quali qui sommariamente descritti, anche in considerazione delle corpose sanzioni (sino a 100.000 euro), che la violazione della legge comporta.
DOWNLOAD PDF