Alert | 31.01.2024

Il caso Alviero Martini indica come evolve il concetto di responsabilità aziendale

Caporalato e rischi per il committente


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L’ORDINANZA DEL TRIBUNALE DI MILANO
Il Tribunale di Milano, Sezione Misure di Prevenzione, ha recentemente disposto l’amministrazione giudiziaria, ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. n. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia), nei confronti della storica azienda di moda e pelletteria Alviero Martini.

La vicenda fornisce lo spunto per tornare ancora una volta sui rischi connessi al reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, di cui all’art. 603-bis c.p. (cosiddetto “caporalato”), nel delicato rapporto tra società committente e appaltatori/subappaltatori o fornitori.

È, infatti, sempre più diffusa tra le imprese la prassi di esternalizzare alcuni servizi (ad esempio, logistici, di spedizione o produzione), che spesso richiedono l’impiego di lavoratori non altamente qualificati, e, per questo, più facilmente soggetti a discriminazione e sfruttamento.

Casi piuttosto noti e recenti, come Uber e Dhl, hanno già messo in luce i non irrilevanti rischi in cui incorre oggi un’azienda, nel caso di esternalizzazione dei servizi, in assenza di un’adeguata verifica sull’operato dell’appaltatore, subappaltatore o fornitore.

 

IL CASO
Secondo le indagini del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano, Alviero Martini aveva affidato a società terze l’intera produzione dei capi d’abbigliamento e pelletteria.

Nonostante il divieto di subappalto, gli appaltatori esternalizzavano a loro volta le commesse ad altri opifici che avrebbero impiegato manodopera irregolare, in totale spregio alla normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Stando alle informazioni finora disponibili, sono indagati per il delitto di caporalato i titolari degli opifici, che agivano come subappaltatori. Al contrario Alviero Martini e i vertici non sarebbero iscritti nel registro degli indagati.

Ciononostante, ne è stato disposto il commissariamento, al fine di predisporvi presidi di controllo interni in grado di evitare che la filiera produttiva possa nuovamente consentire l’affidamento di appalti o subappalti, che impieghino lavoratori in condizioni di sfruttamento.

L’art. 34 D.Lgs. n. 159/2011, infatti, prevede la nomina di un amministratore giudiziario, che assuma la temporanea gestione dell’impresa, nei casi in cui quest’ultima abbia agevolato (anche con la propria negligenza e comunque con un comportamento colposo) soggetti responsabili di delitti di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.

Ogni realtà aziendale deve quindi prestare la massima attenzione al rispetto della legalità anche da parte di soggetti esterni di cui, a vario titolo, si avvale.

 

DOVERI DI PREVENZIONE DEL COMMITTENTE
La vicenda appena riassunta conferma l’importanza, per tutte le aziende, di attivare una capillare attività di identificazione dei rischi, considerando anche le condizioni di lavoro applicate dai propri appaltatori/subappaltatori o fornitori.

Secondo i giudici di Milano, infatti, il semplice divieto contrattuale di subappalto, che pure era previsto nei contratti della Alviero Martini, può non essere sufficiente ad evitare il rischio di commissariamento per le condotte illecite dei subappaltatori.

Può essere suggeribile, allora, che la società committente si garantisca la possibilità (e quindi il diritto contrattuale) di:

  1. eseguire accessi e ispezioni – adeguatamente tracciati e verbalizzati – presso le sedi degli appaltatori/subappaltatori o fornitori; ovvero
  2. richiedere a questi ultimi la trasmissione periodica di tutta la documentazione inerente alla salute e sicurezza sul lavoro.

 

Del pari, può essere opportuna l’implementazione di procedure interne per la preventiva verifica dei requisiti di affidabilità di appaltatori, subappaltatori e fornitori, verso cui si intendono esternalizzare i servizi.

Misure, quelle proposte, adeguate a prevenire il verificarsi di situazioni di sfruttamento e, di conseguenza, gli effetti pregiudizievoli sia economici che reputazionali, per la stessa impresa appaltante.

 

IL MODELLO 231
Le azioni in precedenza suggerite hanno matrice chiaramente riconducibile a quelle tipiche dell’adozione di Modelli Organizzativi ex D. Lgs. n. 231/2001.

È dunque quella dei Modelli Organizzativi (adottati o ancora da adottare) la sede corretta anche per la gestione di rischi connessi alle condotte illecite di caporalato e affini da parte di appaltatori, subappaltatori e fornitori.

Va peraltro sempre ricordato che il D. Lgs. n. 231/2001 rende passibili di sanzione non solo gli enti direttamente responsabili del delitto di caporalato, ma anche quelli nel cui semplice interesse o vantaggio detto delitto sia commesso (come può ritenersi il committente, nel caso di delitto commesso dall’appaltatore o dal subappaltatore).

Per quanto nella specie non si abbia notizia di una contestazione ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 ad Alviero Martini, per un’azienda che venga a trovarsi nella sua posizione, l’eventualità di tale contestazione deve sicuramente ritenersi possibile.

Anche da questo punto di vista, allora, è consigliabile un adeguato aggiornamento dei presidi 231, rispetto agli standard ed alla regolarità dell’organizzazione e delle attività di appaltatori, subappaltatori e fornitori.

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Equity Partner
Nicolò Pelanda
Equity Partner
Matteo Uslenghi

Marketing & Communication
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Penale

L’attività economica e di impresa è sempre più caratterizzata da rischi, divieti e problematiche che possono assumere rilievo penale. LCA ha quindi costituito un proprio dipartimento di diritto penale, in grado di fornire assistenza altamente specializzata nella prevenzione dei rischi e nella gestione di controversie penali.
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