Il nuovo testo di legge è una delle iniziative previste nella nuova agenda dei consumatori e nel piano d’azione per l’economica circolare elaborati dalla Commissione Europea nel 2020, e dà seguito al Green Deal europeo modificando le Direttive 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali e 2011/83/CE sui diritti dei consumatori.
L’obiettivo della proposta di direttiva è contrastare due pratiche commerciali ritenute distorsive delle scelte di consumo e del corretto funzionamento del mercato:
- il greenwashing (dichiarazioni ambientali ingannevoli) e
- l’obsolescenza precoce o programmata dei beni.
In questo senso, le previsioni principali del testo approvato dal Parlamento Europeo sono: (i) il divieto espresso di asserzioni ambientali generiche, ritenute in quanto tali ingannevoli; (ii) un divieto di utilizzo di green claim relativi all’impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente di un prodotto basati sulla compensazione delle emissioni di carbonio (crediti di carbonio); (iii) il divieto di utilizzare marchi di sostenibilità non basati su sistemi di certificazione o altrimenti stabiliti da autorità pubbliche; e (iv) nuovi obblighi di trasparenza in capo ai professionisti in relazione alle caratteristiche di durabilità dei prodotti, anche mediante l’adozione di una nuova etichetta di prodotto relativa alla garanzia di durabilità.
Greenwashing
La proposta di direttiva si pone accanto alla proposta di “Direttiva Green Claims” (allo stato ancora in fase di approvazione da parte della Commissione Europea) nel contrasto al greenwashing, includendo in modo espresso tra le pratiche commerciali scorrette di cui all’art. 6 della Dir. 2005/29/CE (recepito in Italia sub art. 21 cod. cons.) “la formulazione di un’asserzione ambientale relativa a prestazioni ambientali future senza includere impegni chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili stabiliti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che includa obiettivi misurabili e con scadenze precise, nonché altri elementi pertinenti necessari per sostenerne l’attuazione, come l’assegnazione delle risorse, e che sia verificato periodicamente da un terzo indipendente, le cui conclusioni sono messe a disposizione dei consumatori”.
Di conseguenza, ogni green claim relativo a benefici ambientali futuri (quale, ad esempio, “100% riciclabile entro il 2025”) dovrà essere supportato da impegni di sostenibilità chiari, concreti e verificati da enti indipendenti.
Non solo. La proposta di direttiva include nell’elenco delle pratiche commerciali considerate in ogni caso sleali (di cui all’allegato I della Dir. 2005/29/CE e all’art. 23 cod. cons.) 5 nuove pratiche riconducibili al greenwashing:
- “esibire un marchio di sostenibilità che non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche” (ad esempio un simbolo non ufficiale che evoca il ciclo di Mobius);
- “formulare un’asserzione ambientale generica per la quale il professionista non è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione” (ad esempio “eco-friendly”, “biodegradabile”, “green”);
- “formulare un’asserzione ambientale concernente il prodotto o l’attività del professionista nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o dell’attività” (ad esempio prodotto “riciclato”, quando solo una delle materie prime che lo compongono è riciclata);
- “asserire – sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra -, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra” (ad esempio “impatto zero”); e
- “presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria come se fossero un tratto distintivo dell’offerta del professionista” (ad esempio “non testato sugli animali” per un prodotto cosmetico).
L’inclusione di tali pratiche nella black list delle pratiche “in ogni caso sleali” ha una conseguenza sanzionatoria ben precisa: a tali pratiche di greenwashing sarà applicabile il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla Direttiva “Omnibus”, ossia la possibilità per le autorità competenti (in Italia, l’AGCM) di irrogare sanzioni pecuniarie di importo compreso tra 5.000 e 10.000.000 euro o – in caso di violazioni c.d. unionali o diffuse – fino al 4% del fatturato annuo realizzato dal professionista negli stati membri interessati dalla violazione.
Obsolescenza precoce
L’obsolescenza precoce o programmata (intesa come pianificazione e/o progettazione deliberata di un prodotto con una durata di vita limitata) è l’altro principale target della proposta di direttiva. L’obiettivo è evidente: estendere la durata di vita dei prodotti al fine di ridurre la quantità di rifiuti e contribuendo a una maggiore sostenibilità dei consumi.
In questo senso, la proposta di direttiva inserisce tra le pratiche commerciali ingannevoli (art. 6 Dir. 2005/29/CE recepito in Italia sub art. 21 cod. cons.) la diffusione di informazioni false relative alla durabilità (intesa come la capacità del bene di mantenere le proprie funzioni e prestazioni attraverso un uso normale) oltre che alla circolarità, riparabilità o riciclabilità di un prodotto.
Inoltre, sono previsti nuovi obblighi informativi in capo ai produttori relativi alla durabilità dei prodotti. In particolare, nel caso in cui il produttore offra una garanzia commerciale di durabilità (ex art. 17 Dir. 2019/771), il professionista è obbligato a informare il consumatore – prima della conclusione del contratto – dell’esistenza di tale garanzia e della durata della stessa, mediante un’apposita etichetta apposta sul prodotto (“harmonised label”).
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La direttiva sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde fa parte di un pacchetto di quattro proposte legislative europee e si aggiunge, quindi, al regolamento sulla progettazione ecocompatibile (“Regolamento Eco-Design”) e alle proposte di direttive sulle autodichiarazioni ambientali (“Direttiva Green Claims”) e sul diritto alla riparazione.
Il testo normativo è attualmente in esame al Consiglio: in caso di approvazione senza emendamenti, la direttiva sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale e gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepirla nel diritto nazionale.
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