Il rispetto della legge è uno dei pilastri su cui si fonda il successo delle imprese. Conoscere e rispettare la legge per evitare di commettere infrazioni costose sia per il patrimonio sia per la reputazione è, o per lo meno dovrebbe essere, alla base del comportamento di ogni manager e di ogni collaboratore dell’azienda. A volte ci capita di assistere imprese, piccole e medie, che, per varie ragioni, ritengono che vi siano alcune sfere del diritto che non le riguardano. Il diritto antitrust rientra in tale categoria. Si è, infatti, spesso portati a ritenere che le norme antitrust riguardino solo le grandi imprese o quelle dotate di un significativo potere di mercato. Tale percezione, tuttavia, oltre a non essere corretta, è frutto di una prospettiva parziale da cui normalmente si guarda alle norme antitrust, ossia solo come ad un fattore di rischio in termini di sanzioni economiche (in Europa, fino al 10% del fatturato di Gruppo), di esposizione alle azioni di risarcimento, nonché di reputazione.
La normativa antitrust, invece, per gli obiettivi che si propone di realizzare, è molto più di questo. In particolare, per le Pmi, può diventare uno strumento di competitività, un’arma potente per difendere i propri interessi e poter operare in un mercato non distorto da meccanismi anticoncorrenziali messi in atto da altri. La storia antitrust, soprattutto in materia di abuso di posizione dominante, è costellata di casi avviati su impulso di Pmi attente alla tematica, che hanno saputo interpretare le difficoltà riscontrate sul mercato (in molti casi, in veste di nuovi entranti) come comportamenti anticompetitivi e denunciato alle competenti autorità violazioni della normativa a tutela della concorrenza. È chiaro, però, che per avvalersi di questo strumento bisogna conoscerlo bene, soprattutto in questo particolare momento storico: a parte la necessità di ripresa economica post pandemia, si pensi alla digitalizzazione dei mercati o alle esigenze di sostenibilità ambientale. In questo contesto di grande evoluzione, anche le norme antitrust, sia a livello Ue che nazionale, sono state oggetto di rilevanti modifiche; del pari, anche i poteri di intervento delle autorità di concorrenza, per molti versi, sono stati intensificati.
Gli esempi sarebbero tantissimi. Per menzionarne solo qualcuno, basti pensare, in materia di controllo delle concentrazioni, alle disposizioni che ora consentono di intervenire sulle operazioni c.d. “sotto soglia”, originate in particolare dal fenomeno delle c.d. killer acquisition di startup innovative (soprattutto nei settori tecnologici e farmaceutici) da parte di grandi imprese che temono competitor emergenti; o, nel settore digitale, ai vincoli imposti ai c.d. gatekeeper dal Digital Market Act. Dall’altro lato, la percezione che il diritto antitrust e le relative sanzioni non possano colpire le Pmi non è esatta. Le c.d.
“violazioni gravi” del diritto della concorrenza – ad esempio, i cartelli (per la fissazione dei prezzi, spartizione della clientela/territori, limitazione della produzione, distorsione delle procedure di gara, c.d. bid rigging, ecc.) così come le violazioni c.d. hard core nei rapporti verticali (ad esempio, l’imposizione dei prezzi di rivendita) – possono essere perseguite e sanzionate a prescindere dalla dimensione delle imprese coinvolte e della quota di mercato da esse detenute.
Qui il discorso si fa piuttosto complesso e richiederebbe una trattazione a parte. In questa sede, preme solo sottolineare che anche per le Pmi è importante conoscere i comportamenti in ogni caso vietati dalla normativa antitrust, in modo da non incorrere (anche involontariamente) in possibili violazioni. La materia è in costante evoluzione, normativa e giurisprudenziale: il suo rispetto e i vantaggi che possono derivarne poggiano su una solida e diffusa cultura di compliance in azienda così come sulla necessità che questa sia accompagnata da un supporto consulenziale specializzato, costante e competente ma, considerati i tempi, anche accessibile e smart.
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