IL PAYBACK SUI DISPOSITIVI MEDICI
Il Payback è un meccanismo di politica economico-sanitaria che pone a carico di alcune aziende private operanti in un determinato settore il superamento dei tetti di spesa pubblica previsti per il medesimo settore, obbligandole a ripianare (payback) parte di tale sforamento.
Si tratta di un sistema introdotto inizialmente per la spesa farmaceutica, esteso nel 2015 anche al settore dei dispositivi medici e rimasto quest’ultimo per lungo tempo sostanzialmente “inattivo”, sino a quando, nel 2022, il Ministero della Sanità ha retroattivamente stabilito i tetti di spesa per l’acquisto dei dispositivi medici per le annualità 2015-2018 e prevedendo che il superamento dei tetti fosse a carico delle aziende fornitrici di dispositivi medici.
Complessivamente la somma richiesta alle aziende ammonta a circa 2,2 miliardi di euro e, unitamente a quelle delle annualità successive, rischia concretamente di mettere in estrema difficoltà finanziaria numerose di esse.
I provvedimenti del Ministero e quelli applicativi da parte delle singole regioni sono stati quindi oggetto di una pioggia di ricorsi – circa 2.000 – davanti al TAR del Lazio, sollevando, inter alia, vari profili di illegittimità costituzionale della normativa di riferimento.
La battaglia delle aziende è proseguita nonostante il tentativo del Governo (con D. L. 34/2023) di far accettare il sistema attraverso una forte riduzione – di oltre il 50% – per chi avesse rinunciato ai ricorsi e pagato spontaneamente.
LE ORDINANZE DEL TAR
Con una serie di ordinanze rese nell’ambito di alcuni giudizi “pilota” e pubblicate il 24 novembre 2023, il TAR ha dichiarato “rilevante e non manifestamente infondata” la questione di legittimità costituzionale della normativa di riferimento (art. 9 ter del D.L. n. 78 del 2015), per contrasto con gli artt. 3, 23, 41 e 117 Cost., sospendendo i giudizi.
Le motivazioni dell’ordinanza del TAR sollevano in maniera perentoria molteplici profili di possibile illegittimità costituzionale.
Il TAR ritiene in primo luogo che quello del payback sia un “sistema nel suo complesso irragionevole, in quanto comprime l’attività imprenditoriale attraverso prescrizioni eccessive, non considerando che le imprese hanno partecipato a gare pubbliche ove vige un criterio di sostenibilità dell’offerta in base al quale i ribassi proposti, proprio al fine di assicurare la serietà dell’offerta, devono risultare sostenibili in termini di margine di guadagno”
Ancora, il TAR enfatizza l’“ingiustificato sacrificio dell’iniziativa economica privata” e la violazione dei principi “dell’affidamento, della ragionevolezza e dell’irretroattività”, anche considerato che “non è stato previamente determinato il tetto regionale di spesa” e “non sono state indicate puntualmente neanche le modalità di calcolo di questo”.
Non da ultimo il TAR ha rilevato che la disciplina sul payback configura “un’imposizione patrimoniale adottata in assenza della previsione a livello legislativo”, che non è temporanea, e che “per determinare l’ammontare del ripiano fa riferimento al fatturato e non al margine di utile colpendo in questo modo l’intero reddito dell’impresa”
Si tratta di affermazioni che accolgono pienamente le censure sollevate dagli operatori del settore, da sempre oggetto di un’accorata battaglia da parte delle relative associazioni di categoria, e che minano seriamente e alla radica il meccanismo del payback per i dispositivi medici.
Non è da escludere che, alla luce di tali ordinanze, il Governo e Parlamento possano intervenire già prima della pronuncia della Corte Costituzionale, riformando un sistema che, così com’è, rischia di compromettere un’intera filiera – quella delle aziende che commercializzano dispositivi medici – che riveste un ruolo cruciale nella sanità pubblica.
Redazione a cura del focus team Life Sciences di LCA Studio Legale
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