La rinomanza del marchio, consolidatasi nel tempo, così da dar luogo al formarsi del secondary meaning, lascia inalterata la sua connotazione di marchio debole, se privo di intrinseca attitudine distintiva.
Questo è quanto affermato dalla Cassazione in una recente sentenza (Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2016, n. 25168), che ha visto coinvolti un noto marchio di prodotti cosmetici (CLINIQUE) e un centro estetico che aveva deciso di utilizzare proprio il termine CLINIQUE per individuare alcuni suoi prodotti.
I fatti
Clinique Laboratories LLC, società statunitense appartenente al gruppo Estee Lauder, operante nel settore dei prodotti cosmetici, citava in giudizio Beauty Full Srl, centro estetico con sede a Gallarate (VA), per concorrenza sleale per agganciamento e contraffazione del marchio CLINIQUE. In particolare la condotta lamentata Clinique Laboratories LLC riguardava l’utilizzo che il centro estetico aveva fatto del termine CLINIQUE per identificare alcuni suoi prodotti estetici, affiancandolo ad altri termini.
La sentenza
Nella sua pronuncia, la Corte offre una interpretazione restrittiva dell’art. 13 del Codice della Proprietà Intellettuale, rubricato “capacità distintiva”, chiarendo che l’acquisto di un secondary meaning non sempre elimina il carattere di debolezza di un marchio, qualora privo di intrinseca attitudine distintiva.
Ma facciamo un passo indietro: sono definiti marchi deboli i marchi dotati di una scarsa capacità distintiva in quanto strettamente correlati al prodotto o servizio che individuano. La qualificazione del segno distintivo come marchio cd. debole non incide sull’attitudine dello stesso alla registrazione, ma soltanto sull’intensità della tutela che ne deriva, nel senso che, a differenza del marchio cd. forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte.
In una recente sentenza la Corte Suprema ha tuttavia riconosciuto che un marchio inizialmente debole possa divenire forte, qualora, grazie all’uso che ne sia stato fatto nel tempo, esso abbia rafforzato la propria capacità distintiva attraverso il fenomeno del c.d. secondary meaning, ossia acquisendo un “significato secondario” che lo renda generalmente noto e riconoscibile tra il pubblico (v. caso Divani&Divani, Cass. sentenza del 2 febbraio 2015 n. 1861).
Nel presente caso, la Corte ha ritenuto invece che il termine CLINIQUE, in quanto corrispondente al sostantivo italiano “clinica” e all’aggettivo “clinico”, sia un vocabolo utilizzato da un gran numero di operatori commerciali per contraddistinguere la propria attività in svariati settori più o meno prossimi a quello sanitario e che, nonostante il marchio avesse indubbiamente acquisito una certa rinomanza in forza dell’uso protratto nel tempo (e quindi un secondary meaning), la portata di tale fenomeno non fosse sufficiente a far venire meno il suo carattere di debolezza, in mancanza di un intrinseca “forte capacità distintiva”.
Sulla base del suo ragionamento, la Corte ha così confermato la sentenza della Corte d’Appello, ritenendo che nel presente caso non vi fosse stata alcuna contraffazione o condotta anticoncorrenziale da parte del centro estetico Beauty Full S.r.l., dato che, nel caso di marchi deboli, anche minime modificazioni sarebbero sufficienti a differenziare il marchio da quelli preesistenti, se deboli.
Le sentenza della Corte Suprema lascia alcuni dubbi in merito ai criteri di valutazione della capacità distintiva utilizzati, soprattutto se si pensa che in nessun passaggio si tiene conto della riconoscibilità e percezione del marchio CLINIQUE da parte del pubblico, quando invece, la valorizzazione di quest’ultimo aspetto (e quindi del collegamento diretto operato dai consumatori tra il termine e i prodotti/servizi della società), avrebbe potuto portare la Corte a riflettere maggiormente sulla effettiva capacità distintiva acquisita dal marchio CLINIQUE negli anni.