Una delle alleanze che si sono sviluppate in parallelo a #blacklivesmatter – talmente potente da aver aggregato non solo foto e video postati online, ma anche le persone che quelle idee e quella causa la sostengono anche offline – è See In Black (www.seeinblack.com), una collective di Black photographers che attraverso la vendita di immagini originali, di qualità elevata e da loro stessi realizzate, ha raccolto fondi per sostenere cause in linea con il loro concetto di Black prosperity. A seguito della pandemia, gli artisti hanno deciso di offrire in vendita le loro opere a prezzi notevolmente ribassati (100 dollari l’una, per esemplari che normalmente vengono venduti ad alcune migliaia di dollari), e di devolvere il 100 per cento del ricavato ad iniziative finalizzate a sostenere la black community nel momento di difficoltà segnato (anche) dalla pandemia.
Un’iniziativa benefica, insomma, che non lasciava spazio ad interpretazioni di sorta. Eppure il Whitney Museum of American Art, uno dei più noti musei di arte moderna di New York, ha deciso di acquistare un ingente numero di opere della collective proprio in occasione del sale off di beneficenza dello scorso giugno, e di organizzare una mostra presso i propri spazi, dal titolo Collective Actions: Artist Interventions In a Time of Change – esposizione, neanche a dirlo, non autorizzata dagli artisti, il cui focus sarebbero state le proteste legate a Black Lives Matter e la diffusione della pandemia Covid-19. Gli artisti, a quanto riportato, sarebbero stati semplicemente “informati” via e-mail dell’iniziativa a meno di un mese dall’inaugurazione della mostra (prevista per la metà del mese di settembre), e sarebbe stato loro offerto un Artist Lifetime Pass per il museo.
I 79 artisti di See In Black interessati non sono certo rimasti a guardare: al contrario, hanno sollevato un coro sdegnato di protesta e di accusa nei confronti dell’ente museale, per aver tentato di utilizzare i loro lavori senza preventivo consenso e senza nemmeno prevedere a loro favore una adeguata compensation. Sull’account twitter di See In Black è stata postata una dichiarazione ufficiale, in cui si legge che la mostra “Constitutes unauthorized use of the works to which the artists do not consent and for which the artists were not compensated”. Inutile dire che la mostra è stata cancellata.
Come ricorda Miriam Loro Piana, proprio l’Italia è stata teatro di una querelle che ha creato, a proposito dell’esistenza del diritto di esposizione, un precedente certamente interessante. Jannis Kounnelis, artista di fama internazionale, ha infatti ottenuto (dopo non poca resistenza da parte del curatore) che la sua opera Scarpette d’oro venisse rimossa da una mostra collettiva in corso presso Palazzo Grassi, a Venezia, sostenendo appunto che la sua esposizione costituisse violazione dei propri diritti di sfruttamento economico.
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