Media , News | 12.01.2021

La figura degli angel investor: tra “mito” e prassi


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Secondo una recente indagine pubblicata dall’Associazione Iban, il volume complessivo dell’angel investing in Italia sarebbe in crescita e avrebbe superato quello francese. Un business angel o angel investor, in linea generale, è un soggetto che investe nel capitale di rischio di una società utilizzando risorse proprie. È una persona fisica che ha sviluppato una significativa esperienza in specifici settori in qualità di imprenditore, professionista o manager e che, appassionatosi a un progetto, decide di contribuire al suo avvio e sviluppo iniziale attraverso investimenti di piccolo taglio.

Operando secondo presupposti e logiche diverse dagli operatori più istituzionali, non è infrequente trovare in un progetto di investimento un angel investor in sindacazione con altre persone al fine di sfruttare strategie aggreganti pur mantenendo contenuta l’esposizione al rischio del fallimento dell’operazione.

Nella prassi commerciale si riscontrano ormai diversi tipi di business angel. Le differenze sono principalmente dovute alla provenienza, agli obiettivi, all’ammontare complessivo investito e al posizionamento nella linea di sviluppo della società. A prescindere dalle catalogazioni, può senz’altro affermarsi, in linea di massima, che si tratta essenzialmente di investitori verticalizzati sulla fase dell’early stage a copertura di un vuoto finanziario storicamente esistente tra i founderfamily and friend (seed) e i venture capitalist (later stage).

Malgrado si tenda spesso a degradare il business angel a un investitore minore, è tuttavia importante ricordare come questa figura sia centrale per ciò che attiene anche e soprattutto all’offerta di un’alta specializzazione tecnica e di un portafoglio di relazioni in una fase della vita della startup generalmente caratterizzata da un alto grado di entropia e dall’assenza di significative strategie di sviluppo.

Tale circostanza sembra essere stata finalmente colta con il recente decreto attuativo dell’art. 38, comma 3, del cosiddetto Decreto Rilancio, al quale va senz’altro il merito e il plauso di aver elevato questo investitore al rango di investitore qualificato a segnalare al Fondo rilancio di Cdp Venture Capital le startup e le pmi innovative in cui investire, ruolo che viene condiviso con acceleratori e incubatori, family office e investitori regolamentati. Un’occasione, questa, sicuramente importante anche per il tentativo di definire in modo più chiaro i contorni di questa figura oggi intesa quale investitore con “investimenti attivi e un track record consolidato nel settore del venture capital nonché competenze, professionalità e capacità organizzative ed economiche adeguate per supportare i progetti di sviluppo delle imprese target definiti nell’ambito dell’operazioni di investimento del fondo. A tal fine si presume che la partecipazione consolidata ad associazioni di categoria italiane o estere costituisca indice del possesso da parte del business angel dei richiesti requisiti di competenza, professionalità e capacità organizzative”.

Si tratta, com’è evidente, di un fondamentale passo avanti nell’evoluzione del settore, che conferma – anche attraverso i numeri di Iban – l’attenzione e l’entusiasmo dell’ecosistema delle startup per una figura da tempo centrale nella crescita dell’impresa.

(Questo articolo – scritto da Andrea Messuti in collaborazione con Stefano Giannone Codiglioneè apparso originariamente su We Wealth)


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