Con sentenza del 7 ottobre 2016, la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di invenzioni d’azienda, riconoscendo in capo al direttore scientifico della ricerca il diritto all’equo premio previsto dall’art. 64, comma 2 del Codice della Proprietà Industriale (c.p.i.) e chiarendo che “il diritto al premio non costituisce un diritto unitario per tutti i partecipanti all’attività che ha determinato l’invenzione e non può essere confuso o assimilato con il diritto di proprietà intellettuale”.
Nel caso di specie il signor Conti lavorava presso una società operante nel settore chimico-farmaceutico ed aveva partecipato, in qualità di direttore scientifico, alla realizzazione di quattro invenzioni industriali, poi brevettate dalla società datrice di lavoro, coordinando e dirigendo l’attività di un’équipe di ricerca finalizzata allo sviluppo dell’angiogenesi.
Nonostante l’attività svolta, il signor Conti, oltre a non aver ricevuto alcuna specifica retribuzione per l’attività inventiva svolta, non si era visto riconoscere dalla società alcun premio, così come previsto dall’art. 64, comma 2 del c.p.i., in relazione alle invenzioni brevettate.
Quest’ultima diposizione stabilisce infatti che nel caso di invenzioni d’azienda (ossia realizzate nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, ma senza che sia prevista una specifica retribuzione), i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, ma al dipendente-inventore spetta, oltre al diritto di essere riconosciuto autore, un equo premio per l’attività svolta.
Il signor Conti aveva così citato in giudizio la società datrice di lavoro per ottenere la sua condanna a corrispondergli un equo premio in relazione alle quattro invenzioni industriali realizzate dalla équipe di ricerca da lui diretta.
La società si opponeva, sostenendo che il signor Conti non avesse svolto attività inventiva “produttiva di invenzioni”, che la sua attività fosse già stata remunerata come direttore tecnico del progetto di ricerca e che, pertanto, non potesse ritenersi sussistente in capo a lui alcun diritto a percepire un equo premio per l’attività “inventiva” prestata. Il ruolo svolto dal signor Conti all’interno dell’équipe si era, infatti, limitato allo svolgimento di mansioni puramente burocratiche ed esecutive, lasciando la ricerca alla libera iniziativa dei ricercatori.
La società sosteneva inoltre che nel caso di invenzioni di gruppo, essendo in discussione un rapporto unitario che coinvolge tutti i partecipi all’invenzione, si applicano le norme sulla comunione (in base a quanto previsto dall’art. 6 c.p.i.) e che pertanto, nel caso di specie, il contraddittorio non fosse stato correttamente integrato, con grave pregiudizio nei confronti degli altri partecipi all’invenzione.
La Corte ha riconosciuto in primo luogo un diritto all’equo premio in capo al signor Conti, confermando così che rientra nell’attività “inventiva” anche quella posta in essere dal direttore scientifico della ricerca, incaricato del monitoraggio e della direzione dell’équipe di ricercatori.
La portata più innovativa della sentenza si concentra, tuttavia, sul secondo punto, quando la Corte ha ritenuto che “l’azione proposta non è intesa all’adempimento di un’obbligazione inscindibilmente connessa rispetto a quella relativa agli altri partecipi dell’invenzione avvenuta nell’ambito dell’esecuzione del contratto di lavoro subordinato. Il diritto al premio non costituisce un diritto unitario per tutti i partecipanti all’attività che ha determinato l’invenzione e non può essere confuso o assimilato con il diritto di proprietà intellettuale”, non sussistendo così un’ipotesi di litisconsorzio necessario (mentre diverso sarebbe stato il caso in cui in discussione fosse stato il riconoscimento del titolo di inventore).
La Corte ha così rigettato integralmente il ricorso proposto dalla società, confermando la pronuncia della Corte d’Appello.