Il Garante della Privacy, con il provvedimento del 6 ottobre 2016 [doc. web n. 5690378] ha dichiarato infondata la richiesta di deindicizzazione (di una serie di Url) di alcuni articoli presentata, nel maggio 2016, da un ex consigliere comunale coinvolto in un’indagine per corruzione e truffa, sostenendo che non si può invocare il diritto all’oblio per vicende giudiziarie di particolare gravità e il cui iter processuale si è concluso da poco tempo. In questi casi, infatti, prevale l’interesse pubblico a conoscere le notizie.
In breve, la pronuncia del Garante della Privacy trae origine da fatti di cronaca risalenti al 2006, ma la cui sentenza di “patteggiamento“, che ha definito in via conclusiva la vicenda giudiziaria a carico del ricorrente, è stata emessa solo nel 2012.
Il tutto è scaturito dal rifiuto di Google di deindicizzare i risultati che comparivano digitando il nome e cognome dell’ex-consigliere comunale nel motore di ricerca e che facevano “riaffiorare” l’indagine in cui era rimasto coinvolto.
L’ex consigliere, infatti, lamentava i) il lungo lasso di tempo trascorso dai fatti in questione; b) l’assenza di uno specifico ed attuale interesse pubblico alla conoscenza delle notizie, essendo egli un privato cittadino attualmente privo di alcun ruolo pubblico; c) il danno all’immagine, alla riservatezza e alla vita privata e lavorativa subiti dalla permanenza in rete di tali notizie.
L’Autorità, alla luce delle Linee guida del Gruppo di lavoro “Articolo 29” (che con l’entrata in vigore del nuovo Regolamento Privacy si chiamerà “Comitato europeo per la protezione dei dati”), ha rilevato che sebbene l’elemento costitutivo del diritto all’oblio sia il “trascorrere del tempo” rispetto al verificarsi dei fatti oggetto delle notizie rinvenibili attraverso l’interrogazione dei motori di ricerca, tale elemento, anche laddove sussista, “incontra tuttavia un limite quando le informazioni per le quali viene invocato risultino riferite a reati gravi dovendo le relative richieste di deindicizzazione essere valutate con minor favore dalle Autorità di protezione dei dati pur nel rispetto, comunque, di un’analisi caso per caso.”
Nella circostanza specifica, nonostante fosse trascorso un certo lasso di tempo dai fatti riportati negli articoli, la vicenda giudiziaria si era definita solo pochi anni prima. Oltre a ciò, alcuni Url (i.e., articoli) relativi ad una maxi inchiesta sulla corruzione pubblicati fino al 2015 richiamavano la notizia così dimostrando che l’interesse dell’opinione pubblica verso i fatti narrati negli articoli di cui l’ex-consigliere comunale domandava la deindicizzazione fosse ancora vivo e attuale.
Alla luce di tutto ciò, l’Autorità Garante della privacy – muovendosi nel solco delle Linee guida del Gruppo di lavoro “Articolo 29” – ha ritenuto infondati i motivi di ricorso e lo ha rigettato.