Maria Grazia Persico di Nonsoloambiente.it ha intervistato Giovanni Lega in un focus specifico sul tema della sostenibilità.
Considerata l’ingente mole di attività ed i ritmi spesso frenetici e serrati con cui devono confrontarsi molti studi legali, parlare di sostenibilità da un punto di vista puramente sociale è quasi un’utopia soprattutto tra le risorse più giovani. La sostenibilità sociale per essere correttamente attuata e perseguita comporta necessariamente l’adozione di una nuova strategia organizzativa in cui al centro vi sia il benessere di tutti i dipendenti. Da cosa è nato il Suo interesse verso la sostenibilità? Crede che il Suo modello sia di facile attuazione anche in altre realtà lavorative?
Il mio interesse per la sostenibilità retrodata a molti anni fa. Ho iniziato ad interessarmi di CSR poi di ESG e ho avuto la fortuna di incontrare le prime Benefit Company italiane. Credo però derivi dal mio obiettivo (provenendo da una famiglia di imprenditori) di dare “sostenibilità” agli studi legali e naturalmente in primis ad LCA. In altre parole, fare sì che le realtà come la nostra riuscissero a costruire una piattaforma durevole che permettesse di passare di generazione in generazione di professionisti.
Siamo giovani PMI che da una parte hanno lo svantaggio di non avere una storica cultura aziendale codificata, ma l’altra faccia della stessa medaglia ci può permettere di creare questa cultura già con delle fondamenta concrete di parametri di sostenibilità. Io sono anche profondamente convinto che l’attenzione alle famose “P” (People, Planet, Partnership) non diano luogo ad una formula matematica di necessario successo anche economico, ma studiosi ben più autorevoli di me hanno analizzato che le società in cui si lavora meglio sono anche quelle che generano più profitti. La componente “umana” del nostro lavoro, il necessario networking sono basati sulla fiducia che ogni uno di noi ha prima di tutto con gli altri, prima di tutto come essere umani, poi come professionisti. Credo che sia di facile attuabilità, certo è che bisogna sposarne la cultura e crederci.
ASLA, in qualità di associazione rappresentativa del mondo legale, in materia di sostenibilità ha posto in essere numerose ed interessanti iniziative. A Suo avviso, quali sono state sino ad ora le più importanti e cosa ha in programma per il futuro?
ASLA ha promosso diverse iniziative nel mondo della diversity, nel rendere sempre meno importante il “gap di gender”, ha creato un codice di best practice per la tutela della maternità delle avvocate, dei diritti dei collaboratori di campagne solidali verso l’ambiente, di iniziative tese a donare competenza giuridica verso associazioni orientate al sociale e molto altro. Il progetto futuro più importante nel quale oggi ci stiamo cimentando è la costituzione di un percorso che porterà alla identificazione delle Benefit Law Firm.
La sostenibilità è ormai considerata dalle Istituzioni, nazionali e comunitarie, volano dell’economia e driver di sviluppo essenziale per rispondere ad una realtà in continua evoluzione. Secondo Lei, il mondo imprenditoriale italiano dispone degli strumenti adatti per accogliere questa sfida e per cambiare, quindi, il proprio modus operandi?
Purtroppo credo che l’Italia, e in particolare le PMI italiane, siano ancora abbastanza distanti da una cultura di sostenibilità. Se pensiamo infatti, che una PMI su due non si è ancora uniformata agli “Adeguati assetti” ci dice molto dello status attuale. La speranza è che l’impulso che ci è arrivato dai giovani, da organismi come ONU e Comunità Economica Europea e perché no, anche da questa pandemia che ci ha reso tutti più consapevoli degli aspetti ambientali e sperabilmente fatto capire che ci vuole solidarietà e attenzione gli uni agli altri, sviluppi un processo educativo e culturale che darà i suoi frutti a breve su larga scala.
Intervista pubblicata su Nonsoloambiente.it