La società contemporanea negli ultimi decenni è stata caratterizzata, soprattutto dal punto di vista tecnologico, da un elevato dinamismo che ha moltiplicato e diversificato i vettori della creazione, della produzione e dello sfruttamento di opere dell’ingegno. Per rispondere alle nuove esigenze e sfide poste dalla società dell’informazione il Legislatore dell’Unione Europea è intervenuto con la Direttiva 2001/29/CE (“Direttiva InfoSoc”), al fine di adattare e integrare le norme in tema di diritto d’autore e diritti connessi.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza della CGUE, Seconda Sezione, del 26 aprile 2017) ha avuto di recente occasione di pronunciarsi su alcuni concetti centrali della Direttiva InfoSoc e, tra questi, merita particolare attenzione l’interpretazione data alla nozione di “comunicazione al pubblico” ai sensi dell’art. 3, para. 1 della Direttiva medesima.
La controversia riguardava un lettore multimediale nel cui software open source in dotazione erano integrati senza modifiche software di terzi, i quali a loro volta rinviavano a contenuti protetti da diritto d’autore disponibili in streaming su internet, senza che vi fosse l’autorizzazione dei titolari di questi.
Nel decidere la questione, la Corte di Giustizia ha premesso che l’obiettivo perseguito dalla Direttiva InfoSoc giustifica una interpretazione piuttosto ampia della nozione di “comunicazione al pubblico”, la quale consta di due elementi cumulativi ossia i) un atto di comunicazione di un’opera e ii) la comunicazione di quest’ultima a un pubblico.
Quanto all’atto di comunicazione di un’opera, secondo la Corte vanno messi in evidenza il ruolo dell’utente, che deve avere una “piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento” volto a dare ai suoi clienti accesso a un’opera protetta, e ciò in particolare quando “in mancanza di questo intervento i suddetti clienti non potrebbero, in via di principio, fruire dell’opera” (p. 31 della sentenza citata), ed il carattere lucrativo o meno della comunicazione (come già indicato in altre decisioni, come ad es. la decisione del 3 aprile 2015, C-160/15, GS Media, punto 36 e punti 51-54).
Partendo da questi presupposti e richiamando proprie precedenti pronunce (tra cui la sentenza nella causa C-306/05, SGAE) la Corte ha affermato che la mera fornitura di attrezzature fisiche non costituisce di per sé un atto di comunicazione ai sensi della Direttiva InfoSoc.
Tuttavia, secondo i giudici, nel caso di specie il venditore del lettore multimediale aveva proceduto all’installazione dei software di terzi con piena cognizione delle conseguenze della sua condotta. Oltretutto, senza tali software di terzi i clienti avrebbero solo con difficoltà potuto accedere alla visione dei contenuti contestati, dal momento che i siti di streaming in questione erano difficilmente identificabili dal pubblico e soggetti a frequenti modificazioni di URL.
Quanto alla comunicazione dell’opera al pubblico, la Corte rileva che secondo giurisprudenza costante l’atto di comunicazione può dirsi rivolto al pubblico quando l’opera è comunicata secondo modalità tecniche specifiche diverse da quelle fino ad ora utilizzate oppure è rivolta ad un pubblico “nuovo” (si vedano ad esempio anche precedenti pronunce, tra cui C-160/15, GS Media, punto 37, e C-466/12, Svensson, punto 24).
Pertanto, definita la condotta in esame quale “atto di comunicazione”, i giudici europei hanno ritenuto che essa abbia compreso un numero considerevole di persone, includendo sia gli attuali possessori del lettore multimediale sia tutti i potenziali acquirenti del dispositivo dotati di connessione internet.
Oltretutto la Corte aveva già chiarito in precedenti pronunce (C-466/12, Svensson, punto 19) come, affinchè vi sia «atto di comunicazione», è sufficiente che l’opera sia messa a disposizione del pubblico e che questi possa dunque in ipotesi avervi accesso, senza che sia al contrario determinante che vi sia o meno un effettivo accesso al contenuto protetto.
Il “pubblico” di utenti, nel caso sottoposto alla Corte di Giustizia, è stato ritenuto “nuovo” in quanto constava di soggetti che non erano stati originariamente presi in considerazione dai titolari del diritto d’autore nel momento in cui era stata autorizzata la prima comunicazione al pubblico.
In precedenti pronunce – in particolare C-466/12, Svensson, nonché C-348/13, BestWaters – il carattere di “novità” del pubblico era stato escluso nel caso in cui nella comunicazione iniziale l’accesso ad opere tutelate dal diritto d’autore non fosse stato limitato da alcuna misura restrittiva.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui un link su un sito internet consentisse ad una fetta di pubblico di eludere le misure restrittive adottate dal titolare dei diritti d’autore sull’opera protetta, il soggetto che mettesse a disposizione il suddetto link porrebbe in essere un intervento senza il quale alcuni utenti non avrebbero potuto beneficiare delle opere medesime. Per questa ragione, il complesso di tali utilizzatori dovrebbe essere considerato quale “pubblico nuovo”, in quanto pubblico che non era stato preso in considerazione dal titolare del diritto d’autore al momento in cui era stata autorizzata la comunicazione iniziale.
La decisione della Corte di Giustizia, pur attingendo alle precedenti pronunce in tema di interpretazione della Direttiva InfoSoc, si caratterizza dunque per un rafforzamento della tutela attribuita ai titolari di diritto d’autore su opere audiovisive accessibili sulla rete internet con un allargamento della sfera di applicazione della Direttiva InfoSoc.