I dati personali iscritti nel registro delle imprese possono, dopo un certo periodo di tempo e su richiesta del soggetto cui si riferiscono, essere cancellati o resi accessibili unicamente a coloro che dimostrino un interesse qualificato a conoscerli?
E’ questo il quesito posto dalla Corte di Cassazione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e in relazione al quale si è recentemente espresso l’Avvocato Generale Yves Bot con le conclusioni presentate l’8 settembre 2016.
Il fatto
Il sig. Manni, amministratore unico di una società risultata aggiudicataria di un appalto per la costruzione di un complesso turistico, lamentava di non riuscire a trovare acquirenti per le unità immobiliari perché risultava ancora indicato quale amministratore unico e liquidatore di altra società, dichiarata fallita nel 1992 e cancellata dal registro delle imprese nel 2005. Avendo cercato inutilmente di ottenere la cancellazione di tali propri dati personali dalla Camera di Commercio di Lecce, ne chiedeva la condanna (i) alla cancellazione, alla trasformazione in forma anonima o al blocco dei dati che lo ricollegavano al menzionato fallimento societario, nonchè (ii) al risarcimento del danno all’immagine subito di conseguenza.
Il Tribunale di Lecce accoglieva entrambe le domande del sig. Manni, sostenendo – in sintesi – che, a distanza di oltre 10 anni dai fatti, mantenere la menzione del nominativo dell’amministratore unico al tempo del fallimento della società non era né necessaria né utile: il fine di conservare traccia delle vicende che hanno interessato la persona giuridica a tutela di un generale interesse pubblico all’informazione può, ad avviso del giudice di merito, essere raggiunto senza difficoltà anche con dati puramente anonimi.
La Corte di Cassazione, adita dalla Camera di Commercio di Lecce, sospendeva il procedimento di impugnazione della sentenza del Tribunale di Lecce, chiedendo alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla compatibilità del principio di pubblicità dei registri delle imprese con il principio di conservazione dei dati personali per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali tali dati sono trattati.
L’analisi dell’Avvocato Generale
L’Avvocato Generale, con un ampio percorso argomentativo, ha sottolineato che la pubblicità legale delle informazioni relative alle società, anche se caratterizzata dall’assenza di limiti di durata e dall’essere destinata ad una cerchia indeterminata di persone, risulta non eccedente rispetto a quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo di interesse generale (i.e. il rafforzamento della certezza del diritto mediante la fornitura di informazioni giuridicamente attendibili) per il quale le informazioni sono state raccolte.
Questo obiettivo «prevale sul diritto delle persone i cui dati figurano in un registro delle imprese a reclamarne, dopo un certo periodo di tempo, la cancellazione o la trasformazione in forma anonima oppure a chiedere che la loro pubblicazione sia limitata ai terzi che comprovano un interesse legittimo», e può essere raggiunto solo consentendo di accedervi a chiunque (e non solo a chi dimostri un interesse particolarmente qualificato), e per un periodo di tempo indeterminato (e, quindi, anche decenni dopo la cessazione delle attività da parte della società).
Le conclusioni
La proposta interpretativa dell’Avvocato Generale esclude, quindi, un’applicazione indiscriminata del diritto all’oblio: la sua prevalenza su altri diritti fondamentali non deve essere data per scontata, ma sempre valutata nel caso specifico.
Resta, ora, da attendere la decisione della Corte di Giustizia, per capire se la tesi dell’Avvocato Generale sarà o meno condivisa.