I servizi offerti da UBER costituiscono attività di concorrenza sleale e, pertanto, va accolta la richiesta di taxi e imprese di noleggio con conducente (ncc) di inibire la continuazione del servizio.
Questa la decisione delle Sezioni Specializzate in materia d’Impresa dei Tribunali di Torino (sentenza del 1 Marzo 2017) e Roma (Ordinanza del 7 Aprile 2017), che hanno imposto il blocco sul territorio nazionale dei servizi di trasporto pubblico offerti dalla società californiana UBER, inibendo l’utilizzo dell’applicazione, rispettivamente, nelle sue varianti UberPop e UberBlack.
Nonostante UBER abbia ottenuto dal Tribunale di Roma la sospensione di quest’ultima pronuncia – potendo così, in pendenza dell’appello, continuare a prestare i propri servizi – tali decisioni sono significative in quanto si pongono in continuità con quanto stabilito in precedenza anche dal Tribunale di Milano, che con ordinanza cautelare del 25 Maggio 2015 si era già espressa in tal senso – limitatamente, tuttavia, alla variante UberPop – su un ricorso cautelare promosso dai gestori dei servizi di radio-taxi a Milano, Torino e Genova.
Il ragionamento dei giudici di Torino e Roma può essere sintetizzato in tre punti chiave. In primo luogo, le corti si concentrano sulla natura dell’attività svolta da UBER. Rigettando interamente le argomentazioni di quest’ultima, fondate sulla considerazione che UBER svolge, sostanzialmente, mera attività di mediazione tra autisti (“drivers”) e utenti, i giudici riconducono l’attività svolta da UBER all’interno della nozione di “autoservizio pubblico non di linea” di cui all’art. 1 della legge 21/1992. Tramite l’applicazione UBER (UberBlack, UberPop, o qualsiasi altra variante del servizio offerto) si permette infatti agli utenti di fruire di un servizio di trasporto a richiesta, a fronte di un corrispettivo in denaro; UBER, inoltre, non si limita a rendere possibile il collegamento tra utente e driver, ma predetermina la tariffa e riceve direttamente il pagamento.
In secondo luogo, accertato che la condotta di UBER debba collocarsi nel novero delle attività di trasporto, è evidente secondo i giudici che essa si pone in contrasto con le disposizioni della già citata legge 21/1992. La legge in questione, infatti, fissa stringenti requisiti per l’esercizio di attività di trasporto pubblico; i drivers di UberBlack che UberPop, invece, offrono servizi del tutto assimilabili a quelli di taxi e ncc senza tuttavia sottostare alla loro rigida regolamentazione. Ad esempio, il procedimento di vetting degli utenti privati che si registrano come drivers si limita all’upload di una serie di documenti richiesti da UBER, senza alcun tipo di controllo o esame di natura pubblica, e per potersi registrare come driver e svolgere l’attività non è neppure richiesto il possesso di alcun tipo di licenza.
Per questi motivi l’attività di UBER – al pari, osservano i giudici, di quella dei singoli drivers – è da considerarsi concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3, dal momento che la condotta di UBER – offrendo servizi di fatto in concorrenza con quelli di taxi e ncc, senza rispettare i relativi vincoli normativi – consisterebbe in uno sviamento di clientela ai danni di taxi e ncc, permettendo così a UBER di ottenere un vantaggio indebito derivante dalla possibilità di accedere ad un’utenza indifferenziata, altrimenti non raggiungibile, “tramite modalità di esercizio del trasporto riservati al servizio taxi in violazione di una normativa funzionale a soddisfare l’interesse pubblico”.
Come anticipato sopra, il Tribunale di Roma ha tuttavia accolto la richiesta di sospensiva dell’ordinanza inibitoria emessa il 7 Aprile, permettendo perciò a UBER di fornire ciononostante i propri servizi in attesa dell’appello.