Una storica dell’arte si è presentata di fronte al Tribunale di Roma per rivendicare la paternità esclusiva e il riconoscimento del proprio diritto morale d’autore su un progetto museale, il cui fine sarebbe stato quello di abbattere le barriere sensoriali e avvicinare le persone con disabilità alla fruizione delle opere d’arte esposte nei musei. La sentenza, con cui si è – per ora – conclusa la vicenda giudiziaria, approfondisce un aspetto interessante, relativo alla tutela del diritto d’autore in rapporto alla proteggibilità “in sè” del concept, o format, di un’esposizione artistica.
Troppo spesso il lavoro di curatori o di interi team di professionisti dedicati all’ideazione di un progetto espositivo viene ritenuto meritevole di tutela solo in maniera frammentata e disorganica, senza riconoscere a quest’ultimi un vero e proprio ruolo di “architetti” della mostra stessa, il cui successo è dettato da attività a questi riconducibili che vanno oltre la “sola” redazione di testi e/o lo studio degli spazi.
Va detto, però, che esiste una tendenza, da parte di questi professionisti “pagati per pensare”, a pretendere di avere un assoluto monopolio e tutela su “qualsiasi” idea avuta in relazione alla realizzazione di un’esposizione, cosa che la legge sul diritto d’autore non consente affatto. Quest’ultima, infatti, tutela le opere dell’ingegno di carattere creativo a patto che siano dotate del requisito della novità, e soprattutto, che siano estrinsecate in maniera concreta. Qualità che le idee in sé non possiedono.
Nel caso richiamato, i Giudici hanno innanzitutto valutato un aspetto pregiudiziale all’indagine di cui sopra, ovvero la capacità di provare, da parte di colui (o colei) che rivendica una violazione dei diritti d’autore, la propria legittimazione attiva, ossia la qualità di autore – in questo caso, esclusivo – dell’opera tutelata. Adempimento che la nostra storica dell’arte non ha assolto. Al contrario, nel corso del giudizio è emerso come quest’ultima avrebbe ideato e realizzato il progetto, come dipendente di una società che si occupa di servizi di gestione museale, in collaborazione con il personale dell’ufficio didattica di un museo, di altri professionisti esperti del settore e con l’avallo della committente sui contenuti scientifici.
Da ciò è dipeso il rigetto della domanda di rivendicazione della paternità esclusiva del progetto e delle richieste risarcitorie connesse alla violazione del suo diritto morale. Come conseguenza, i Giudici non si sono espressi sulla qualificazione del progetto in sé come opera dell’ingegno tutelabile. Ciò su cui non hanno mancato di prendere posizione è stato, invece, il tema della tutelabilità del concept dell’esposizione, affermando che, per eseguire tale valutazione: “non va presa in considerazione la fase dell’ideazione del Progetto, trattandosi di attività notoriamente non coperta dal diritto d’autore se non dopo che l’idea sia stata materialmente espressa in un’opera immediatamente percepibile ai sensi”.
Ciò, attraverso l’identificazione, nel caso di un format, dei tratti essenziali che rendono “quel” progetto diverso dagli altri. Un principio, quello espresso, che dovrebbe essere ben compreso proprio da chi, operando nel mondo dell’arte, è dotato di una sensibilità tale da sapere perfettamente che più di un artista ha avuto “l’idea” di raffigurare uno stesso “soggetto”, ma è il “come” l’ha fatto ad aver cambiato il corso della storia.