News , Talk | 30.01.2017

LA CASSAZIONE SI PRONUNCIA SULLA RESPONSABILITÀ DEI GESTORI DEI SITI WEB PER I COMMENTI DEI LETTORI


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Diffamazione online al centro della recente pronuncia della Cassazione sulla responsabilità di chi gestisce un sito per i commenti pubblicati dai lettori. In particolare, la Suprema Corte, con sentenza n. 54946/2016, ha condannato il legale rappresentante della società che gestisce il sito Agenziacalcio.it, per un commento offensivo pubblicato da un utente nel 2009 nei confronti del presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio (Figc), Carlo Tavecchio, allora presidente della Lega Nazionale Dilettanti. L’autore del commento definiva Tavecchio “emerito farabutto” e “pregiudicato doc” e ne allegava il certificato penale. Tre giorni dopo, lo stesso utente contattava direttamente il gestore del sito inviandogli una e-mail allegando nuovamente il certificato penale di Tavecchio. Il commento rimaneva pubblicato e nessuna azione veniva intrapresa nei confronti del contenuto diffamatorio.

Il gestore del sito era stato quindi chiamato in giudizio per concorso nel reato di diffamazione. In primo grado era stato assolto, in secondo grado la Corte d’Appello di Brescia aveva riformato la decisione del Tribunale di Bergamo, affermando la responsabilità penale dell’imputato. La Cassazione adesso conferma ed emana una sanzione a carico del gestore del sito pari a 60.000,00 Euro di risarcimento a favore della parte lesa per un “concorso in diffamazione” dovuto alla mancata rimozione del contenuto oggetto della questione.

Sulla decisione della Corte si rileva quanto segue. La pronuncia si basa sul fatto che esiste il concorso in diffamazione poiché il gestore doveva essere sicuramente a conoscenza dell’esistenza del contenuto diffamatorio, dal momento che il suo autore aveva inviato una e-mail al gestore del sito stesso contenente il certificato penale di Tavecchio. L’imputato, d’altro canto, sosteneva di essere venuto a conoscenza del commento pubblicato solo nel momento in cui la polizia postale gli aveva notificato il sequestro del sito.

Secondo la Suprema Corte l’aver omesso qualsiasi tipo di attività rispetto ad un commento offensivo (di cui se ne presuppone la conoscenza da parte del provider) ha contribuito a mantenere e diffondere l’efficacia diffamatoria dello stesso, rendendo di fatto il gestore del sito colpevole dello stesso reato commesso dall’autore del commento, ovviamente a titolo di concorso.

L’orientamento della Corte colpisce perché, per la prima volta, afferma, la responsabilità penale del provider per il dato diffamatorio postato da terzi. In sede di legittimità, non vi sono precedenti specifici con riferimento al reato di diffamazione e la questione rischia di avere notevoli ricadute sul sistema dell’informazione web. In altre parole, la pronuncia della Corte crea un precedente importante da dover tenere in considerazione nell’ambito dell’ordinaria gestione di un sito che preveda la pubblicazione di commenti – anche anonimi – da parte dei lettori.

Questa decisione a favore del concorso in reato del provider e la valutazione, presuntiva e probatoria, sulla conoscenza o meno da parte di quest’ultimo dell’illecito, rende ancora più delicato e complesso il ruolo del gestore del sito web nell’era di internet e della condivisione online.


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