Secondo l’Avvocato Generale Nils Wahl un fornitore di beni di lusso può lecitamente vietare ai propri distributori autorizzati di commercializzare i suoi prodotti su marketplace di imprese terze.
Citazione: “Un divieto del genere, che mira a preservare l’immagine di lusso dei prodotti interessati, non ricade, a determinate condizioni, nel divieto di intese, in quanto è idoneo a migliorare la concorrenza basata su criteri qualitativi” (cit. l’Avvocato Generale Nils Wahl)
Sono state recentemente pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale Nils Wahl nella causa C-230/16 tra Coty Germany GmbH (di seguito il “Fornitore” o “Coty”) e Parfümerie Akzente GmbH in relazione alla domanda di pronuncia pregiudiziale avanzata dal Tribunale superiore del Land di Francoforte sul Meno, con cui si è chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea chiarimenti in merito all’interpretazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, nonché dell’articolo 4, lettere b) e c) del Regolamento n. 330/2010.
In particolare il richiamato articolo 4 prevede alle lettere b) e c) due ipotesi in cui viene meno il beneficio dell’esenzione per categoria dall’applicazione del sopra citato articolo 101 TFUE quali la presenza di accordi verticali che abbiano per oggetto (i) una restrizione relativa al territorio in cui l’acquirente può vendere i beni e servizi oggetto del contratto o (ii) una restrizione delle vendite attive o passive agli utenti finali da parte dei membri di un sistema di distribuzione selettiva.
Si noti che oggetto della querelle è il contratto di distribuzione, adottato nel 2012 da Coty, il quale introduceva a carico dei propri rivenditori autorizzati uno stretto controllo sulle vendite on-line, da attuarsi tramite “vetrine elettroniche” conformi a specifici requisiti atti a “far emergere e sottolineare la connotazione lussuosa dei marchi Coty Prestige”, con contestuale divieto di vendite web gestite da terzi estranei alla rete distributiva.
Nello specifico, il giudice tedesco chiedeva se fosse compatibile con il diritto della concorrenza dell’Unione Europea il divieto imposto da Coty, che comportava un sostanziale divieto di poter commercializzare i prodotti della Coty Germany in marketplace (generalisti e non) di imprese terze non autorizzate dal produttore come Amazon, eBay e PriceMinister.
Benchè gli accordi verticali di distribuzione selettiva, come gli accordi di distribuzione esclusiva, possano presentare sicuri effetti procompetitivi – come il miglioramento della rete distributiva e dell’assistenza post-vendita a vantaggio del consumatore, la riduzione dei costi organizzativi e l’eliminazione del free riding – è accertato sin dalla sentenza Consten e Grundig/Commissione come un accordo di natura verticale possa causare la compressione della concorrenza intra-brand e la conseguente riduzione del numero dei distributori autorizzati e delle possibilità di rivendita.
In particolare, sulla questione relativa all’adozione di clausole di divieto di commercializzazione di prodotti su internet in contratti di distribuzione, è stata dirimente la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel procedimento C-439/09 la quale stabiliva come tale divieto costituisse una hardcore restriction (caso Pierre-Fabr). Il caso riguardava in particolare un sistema di distribuzione selettiva, adottato da un fornitore di prodotti cosmetici e di igiene personale, il quale imponeva ai propri rivenditori un obbligo di vendita dei prodotti solamente in uno spazio fisico e con l’assistenza di personale qualificato, escludendo pertanto ogni forma di commercio elettronico.
Le conclusioni dell’Avvocato Generale Wahl sembrano aprire ad una interpretazione del dettato normativo più rigorosa e maggiormente aderente alla finalità della normativa stessa quale quella di promuovere la concorrenza, l’efficienza economica e, in definitiva, il benessere dei consumatori. Quest’ultima finalità si declina non solo nell’instaurazione di prezzi più bassi ma anche nella promozione della diversità di scelta dei prodotti e servizi offerti e nello stimolo all’innovazione degli stessi.
Infatti, in merito alla questione per cui è stata adita la Corte, l’Avvocato Generale ha espresso le proprie considerazioni rilevando come i sistemi di distribuzione selettiva – relativi alla distribuzione di prodotti di lusso e di prestigio e volti principalmente a preservare l’“immagine di lusso” degli stessi – costituiscano un elemento di concorrenza conforme all’articolo 101, paragrafo 1, TFUE purchè siano rispettate determinate condizioni (già identificate nella sentenza Metro SB-Großmärkte).
In primo luogo deve essere accertato che le caratteristiche dei prodotti in questione richiedano un sistema di distribuzione selettiva in relazione alla natura dei prodotti considerati e al loro elevato livello qualitativo o tecnologico, onde conservarne la qualità e garantirne l’uso corretto.
Sul punto Whal specifica che per caratteristiche legittimanti si intendono ricomprese le qualità di presentazione visiva dei prodotti e, più in generale, le modalità complessive di presentazione di questi (es. marchi). Con tale ultima specificazione Wahl richiama quella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che attribuisce al marchio un ruolo pro-concorrenziale in quanto capace di garantire al consumatore che tutti i prodotti o servizi da esso identificati siano prodotti e/o distribuiti sotto il governo di un’unica impresa che ne assicuri la loro qualità.
In secondo luogo “è necessario che la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi di carattere qualitativo, stabiliti indistintamente per tutti i rivenditori potenziali”.
In ultimo, occorre che i criteri definiti non vadano oltre i limiti del necessario.
Nonostante la novità dell’interpretazione di Wahl, tale conclusione viene dallo stesso Avvocato Generale considerata coerente con quanto affermato nella sentenza della CGUE nel caso Pierre Fabre. Infatti, in quest’ultimo caso giurisprudenziale non si discuteva di una restrizione a carico dei distributori autorizzati alla vendita sui marketplace online di imprese terze. Diversamente, come anticipato, la questione verteva sul divieto assoluto di vendere su internet, divieto che giustamente la CGUE ha ritenuto sproporzionato e illegittimo rispetto al fine di preservare l’immagine di prestigio dei prodotti.
Infine, discostandosi dalla linea interpretativa adottata nella sentenza del caso Pierre Fabre, l’Avvocato Generale Wahl nelle proprie Conclusioni ritiene che un divieto di vendere tramite marketplace di terzi non rientri nelle categorie di restrizioni hardcore di cui all’articolo 4 del Regolamento n. 330/2010: a suo avviso, infatti, il divieto controverso non costituisce né una restrizione della clientela del distributore al dettaglio, né una restrizione delle vendite passive agli utenti finali (da ciò ne deriva che un sistema selettivo di distribuzione di prodotti di lusso che contenga un tale divieto può beneficiare dell’esenzione automatica dal divieto di intese prevista dal Regolamento citato).
Benchè le conclusioni dell’Avvocato Generale non vincolino certamente la CGUE, le argomentazioni sostenute da Wahl, qualora trovassero conferma nel dispositivo della sentenza, rappresentano una notevole innovazione nel panorama del diritto della concorrenza.
La delineazione di nuovi “confini” nell’identificazione delle eccezioni all’articolo 101 TFUE potrebbe spingere i produttori di beni di alta gamma a modificare i propri contratti di distribuzione a favore di un maggior controllo della catena distributiva e di un maggior coordinamento delle politiche pubblicitarie e promozionali (riducendo conseguentemente la concorrenza intra-brand). Inoltre, tale nuova interpretazione favorirebbe un incremento del numero dei marketplace verticalmente specializzati su beni di alta gamma, frammentando conseguentemente il “mercato del web” – spazio in cui sarebbe possibile la massima concorrenza a tutto vantaggio del consumatore – in tanti sub-mercati al cui interno ciascun distributore o ciascun produttore opererà in un regime di monopolio. Tale restrizione della concorrenza potrà essere ulteriormente facilitata dagli effetti di rete tipicamente riscontrabili nelle piattaforme online multi-sided.