Il rapporto tra sanzioni amministrative e sanzioni penali nella nuova normativa doganale nazionale
Il 4 ottobre scorso sono entrate in vigore le disposizioni nazionali complementari al codice doganale unionale (DNC), che, tra le varie novità, riscrivono completamente l’impianto sanzionatorio amministrativo e penale.
Secondo le nuove disposizioni, l’errore dichiarativo assume anzitutto rilevanza penale, salvo che si realizzino fattispecie di degradazione amministrativa.
In particolare, l’art. 79 DNC prevede che costituisce reato di contrabbando la dichiarazione infedele, che può verificarsi in due ipotesi: 1) in presenza di errori relativi agli elementi tradizionali dell’accertamento (es. classificazione, valore e origine); 2) inesatta liquidazione dei diritti (es. mediante l’indicazione di un’aliquota non conforme del dazio doganale o dell’IVA).
Qualora i diritti di confine accertati, separatamente considerati (i.e. dazio o Iva all’import), risultino inferiori a 10.000 euro e non ricorrano circostanze aggravanti (es. reato di falso), trova applicazione la sanzione amministrativa dal 100% al 200% delle maggiori somme pretese (art. 96, c. 1, DNC).
In caso di dichiarazioni con più articoli (c.d. singoli), l’Agenzia delle dogane dovrà verificare se il valore complessivo dei diritti di confine dovuti a seguito dell’accertamento superi o meno il valore complessivo dei diritti dichiarati e liquidati dalla parte, considerando tutti i singoli che hanno subito una variazione a seguito del controllo (circ. 22/2024).
Se i diritti complessivamente dovuti sono pari o inferiori a quelli dichiarati, la sanzione è irrogata nella misura da 150 euro a 1.000 euro (art. 96, c. 4, DNC); in caso contrario, ossia in presenza di una differenza positiva, occorre valutare i saldi di ciascun diritto di confine accertato.
Ne consegue, pertanto, che, in caso di rettifica di una dichiarazione doganale con più singoli, se la differenza complessiva dei diritti di confine fosse pari a euro 1.000, troverà applicazione la sanzione amministrativa del 100%; se, invece, la differenza risultasse superiore a euro 10.000, troverà applicazione l’art. 79, DNC, con conseguente notizia di reato.
In tale ultima ipotesi, l’operatore può estinguere il reato di contrabbando, versando, oltre ai maggiori diritti, anche una somma pari al 100% delle somme pretese (art. 112 DNC).
Questa facoltà, tuttavia, è ammessa a condizione che il reato non sia aggravato ai sensi dell’art. 88 DNC, perché i) commesso con specifiche modalità o perché ii) la conseguenza finanziaria supera determinate soglie (i.e. 50.000 euro o 100.000 euro).
L’estinzione del reato mediante assolvimento dei maggiori diritti pretesi deve essere attentamente valutata dalle aziende, soprattutto nelle ipotesi di errori commessi per semplici sviste o in caso di rettifiche che potrebbero ripercuotersi anche con riferimento agli anni passati. L’Agenzia delle dogane, infatti, potrebbe utilizzare lo “spauracchio” del penale, al solo scopo di recuperare il pregresso.
In conclusione, pertanto, a fronte della nuova disciplina del contrabbando, dell’equiparazione dell’IVA all’importazione ai diritti di confine e della conseguente facilità di superamento della soglia dei 10.000 euro, è necessario che le società adottino opportune procedure volte ad agevolare la compliance con la normativa doganale e a prevenire le possibili contestazioni.
È indispensabile, in particolare, integrare (o implementare, nel caso sia già stato adottato) il modello ex DLgs. 231/2001 con la parte speciale relativa al protocollo sui reati di contrabbando, di cui all’art. 25-sexiesdecies.
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