Il primo è stato Oliver Kahn, campione d’Europa con la Germania e il Bayern Monaco. Fece causa alla Electronic Arts (EA) che aveva sfruttato la sua immagine nel videogioco 2002 FIFA World Cup senza avergli chiesto il permesso. Una corte di Amburgo condannò la società che sviluppa e produce videogiochi sportivi stabilendo che il gioco fosse ritirato dal paese o che EA pagasse 250.000 euro di risarcimento al calciatore. Nel 2017 il tribunale distrettuale di Amsterdam ha condannato Riot Games perché nel gioco c’era un personaggio che somigliava a Edgar Davids, il quale ha rivendicato il proprio diritto d’immagine ai sensi della legge olandese sul copyright. Per lo stesso motivo gli accordi tra EA Sports e FIFPro non sono considerati validi dalla legge brasiliana e sono molte le cause pendenti davanti ai tribunali locali, costringendo l’azienda di videogiochi a rinunciare ad avere i verdeoro in FIFA 2020.
Ora è la volta di Zlatan Ibrahimovic, Gareth Bale e chissà quanti altri, i quali rivendicano il diritto d’immagine verso le aziende produttrici di videogiochi e contestano il ruolo da intermediari svolto dai sindacati, l’AIC per quanto riguarda l’Italia, la FIFPro a livello internazionale. Federico Venturi Ferriolo ha definito questa situazione come l’elefante nel salotto: “Il diritto d’immagine rientra tra i diritti della personalità, come tale è inalienabile e può essere soggetto a uno sfruttamento solo dietro consenso dell’interessato. Nel nostro ordinamento è regolato dagli articoli 96 e 97 della legge 633 del 1941 sul diritto d’autore, in modo conservativo, nel senso che non ne viene riconosciuto un lato patrimoniale, mentre il Codice civile, con l’articolo 10, ne definisce i limiti di utilizzo e quindi l’abuso”. In questi anni gli eSports sono cresciuti non solo in attenzione ma, soprattutto, in ricavi. Per il 2022 il giro d’affari previsto si aggira intorno ai 4 miliardi di dollari. Il videogioco FIFA di EA nel 2015 ha guadagnato 496 milioni, nel 2020 664, nella modalità Ultimate Team, invece, è passato da 578 milioni a quasi un miliardo e mezzo di dollari. Cristiano Ronaldo, Messi e pochi altri fanno trattative private, così come accade per le copertine dei videogiochi, dove l’atleta è pagato direttamente in quanto testimonial.
E tutti gli altri? “In passato sono intervenuti specifici accordi tra le leghe professionistiche
e l’AIC – spiega Venturi Ferriolo – volti ad adeguare gli interessi al diritto all’immagine dei calciatori: da una parte quello degli stessi di sfruttare commercialmente, in maniera autonoma, la propria immagine, dall’altra la richiesta delle società di disporre dell’immagine della squadra negli accordi di sponsorizzazione (lo stesso vale per le rappresentative azzurre che fanno capo alla FIGC). Faccio riferimento alla Convenzione per la pubblicità del 23 luglio 1981, non rinnovata e a detta delle parti revocata, che traccia delle linee guida per lo sfruttamento dei diritti di immagine dei calciatori professionisti e che precisa che all’AIC spetta in via esclusiva la gestione economica di iniziative aventi a oggetto l’utilizzazione delle immagini dei calciatori in tenuta da gioco, destinate a collezioni o riproduzioni di gruppo o più squadre. È questo, ad esempio, il caso delle figurine Panini”. I giocatori associati all’AIC ne sottoscrivono pure lo statuto che al comma 2 dell’articolo 26, testualmente, recita: comporta peraltro l’automatica concessione a quest’ultima dei diritti all’uso esclusivo del ritratto, del nome e dello pseudonimo degli associati in relazione all’attività professionale svolta dai medesimi e alla realizzazione, commercializzazione e promozione di prodotti oggetto di raccolte o collezioni o comunque di prodotti che, per le loro caratteristiche, rendano necessaria l’utilizzazione dell’immagine, nome o pseudonimo di più calciatori e/o squadre. Diritto del quale usufruisce FIFPro per impegno della stessa AIC essendoci, utilizzando le parole del sindacato, piena condivisione dei fini solidaristici. In particolare, tali diritti vengono concessi in via non esclusiva in relazione ai calciatori iscritti all’AIC (non associati a maglie o simboli del club) non necessariamente di squadre di club italiane ma anche europee o extraeuropee.
Se, infatti, la questione dello sfruttamento dei diritti di immagine da parte delle società appare superata a livello contrattuale (poiché la legge sul professionismo sportivo non attribuisce al club datore di lavoro il diritto di disporre dell’immagine della prestazione oggetto del contratto di lavoro subordinato), nel modulo Altre Scritture viene generalmente concessa la facoltà a favore dei club di utilizzare, a fini commerciali, l’immagine ‘collettiva’ della squadra, ossia la cosiddetta regola dei quattro giocatori, secondo la quale le società possono sfruttare le immagini dei loro calciatori in divisa a condizione che ce ne siano almeno quattro insieme. Ci sono club, Napoli per esempio, che spogliano completamente il proprio giocatore di quel diritto, intestandosene la gestione; è del 2013 l’ultimo braccio di ferro tra la società campana, da una parte, AIC e Panini, dall’altra, che mise a rischio la realizzazione dell’album delle figurine. Senza dimenticare che negli ultimi anni sono stati protetti nomi, movenze ed esultanze, trasformati in logo, al solo evidente fine della monetizzazione degli stessi. “Ritengo che quella di Ibrahimovic sia una battaglia giusta – dice Venturi Ferriolo – Il diritto d’immagine è un diritto definito personalissimo, legato intrinsecamente alla personalità di ognuno di noi, e al di fuori dei casi definiti per legge è sacrosanto che non debba essere sfruttato all’insaputa dell’interessato. Il consenso allo sfruttamento del diritto di immagine, nel caso in cui sia stato prestato attraverso l’iscrizione al sindacato, può essere sempre revocato (salvo risarcimento), soprattutto se si tratta di un personaggio celebre laddove emergono i profili patrimoniali inerenti a tale diritto. Quindi, trovo corretto che si faccia luce su questi sistemi e che i giocatori, tutti, possano decidere almeno come investire i proventi dello sfruttamento della propria immagine. Serve maggiore trasparenza da parte di chi difende gli interessi della categoria”.
Sul diritto d’immagine, inoltre, si potrebbero aprire nuovi fronti sui social media. “Dipende come vengono utilizzate le immagini – precisa il legale – e per quali fini: se informativi non ci sono problemi, poiché così prevede la legge, ma anche qui siamo su un confine labile. L’immagine (pubblica) del calciatore può essere utilizzata, per esempio, per fare pubblicità a un profilo, a una pagina, per aumentare il proprio numero di follower, con post a pagamento, qual è in questo caso lo scopo finale? Chi può dimostrare che non ci sia un arricchimento da parte di alcuni, e quindi un fine di lucro sotteso allo sfruttamento? Nei casi in cui si ravvisi un utilizzo abusivo andrà richiesta la rimozione dell’immagine (considerando che sui social resta comunque traccia di tutto ciò che pubblichiamo, ndr) e l’interruzione dello sfruttamento non autorizzato, fatto salvo il diritto al risarcimento dell’interessato”. “Quella che sembra una guerra tra ricchi – conclude Federico Venturi Ferriolo – potrebbe essere invece una battaglia per una giusta causa, per tutti quei calciatori che nel mondo giocano in mezzo a mille difficoltà economiche. Non credo che da entrambe le parti si voglia arrivare a uno strappo, men che meno da parte di AIC e FIFPro, semmai intravedo la richiesta di sedersi a un tavolo, capire meglio e accordarsi”. Infine esiste un problema legato alla concorrenza. Nel 1997 il Consiglio di Stato aveva eccepito sul rapporto Panini-AIC, stabilendo poi che non violano la legge, ma a livello internazionale è normale che la FIFPro sia l’unico soggetto che può trattare con le case produttrici di videogiochi per cedere l’immagine dei calciatori? Siamo solo all’inizio.
L’intervista a Federico Venturi Ferriolo di Francesco Caremani su Il Foglio.