Con la direttiva (UE) 2023/970 del 10 maggio 2023 il Parlamento europeo e il Consiglio sono intervenuti con l’obiettivo di dare effettiva attuazione al principio della parità retributiva tra uomini e donne per uno stesso lavoro o lavoro di pari valore e per rafforzare l’applicazione del principio di non discriminazione attraverso meccanismi per garantire la trasparenza sulle voci di retribuzione.
Il provvedimento si applica a tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, a tutti i lavoratori nonché ai candidati in fase preassuntiva.
Gli Stati membri devono recepire la direttiva entro il 7 giugno 2026, tre anni dalla sua entrata in vigore.
Il 10 maggio 2023 è stata approvata la Direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento e del Consiglio del 10 maggio 2023 che si innesta sulla precedente Direttiva (CE) 2006/54 con l’obiettivo di rendere effettivo il principio di parità retributiva e il divieto di discriminazione (art. 4) ivi enunciati, nonché sul Titolo X del TFUE – Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea[1] concernente le politica sociale dell’Unione e, nello specifico, la parità di retribuzione (art. 157 TFUE) tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.
Ambito di applicazione
La Direttiva 2023/970 si applica alle aziende ed organizzazioni del «settore pubblico e privato» (art. 2, c.1) e ai lavoratori e alle lavoratrici «che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro quale definito dal diritto, dai contratti collettivi e/o dalle prassi in vigore in ciascuno Stato membro, tenendo in considerazione la giurisprudenza della Corte di giustizia» (art. 2, c.2).
Trova, altresì, applicazione nei confronti dei candidati e delle candidate in fase di selezione e assunzione, ai quali si vuole garantire piena consapevolezza delle condizioni economiche di lavoro in corso di trattativa (art. 2, c.3 e art. 5).
Obblighi di trasparenza, informazione e comunicazione
La trasparenza retributiva viene garantita attraverso diverse misure:
- in fase assuntiva, è riconosciuto ai candidati e alle candidate il diritto di ricevere informazioni sulla retribuzione di ingresso,l’inquadramento iniziale, i relativi criteri di assegnazione e le fonti di regolazione (art. 5) e di non rivelare il trattamento economico percepito presso l’attuale o precedenti datori di lavoro. Quest’ultimo punto è inserito nella Direttiva, non solo come diritto a non dichiarare, ma soprattutto come divieto del datore di lavoro di chiedere tali informazioni al candidato o alla candidata.
- in corso di rapporto di lavoro, i datori di lavoro devono rendere facilmente accessibili, anche mediante pubblicazione su sito web, i criteri utilizzati per la determinazione della retribuzione, i livelli retributivi e i criteri di progressione che devono essere oggettivi e neutri sotto il profilo del genere (art. 6); le informazioni sul divario retributivo di genere ripartito in base al salario e alle componenti complementari o variabili devono essere fornite solo al proprio personale e, a richiesta, all’Ispettorato del lavoro ed agli organismi di parità
- in corso di rapporto di lavoro, i lavoratori e le lavoratrici hanno il diritto di richiedere e ricevere, non oltre 2 mesi dalla richiesta, informazioni sul loro livello retributivo individuale e sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori e lavoratrici che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. La richiesta può essere inoltrata personalmente dalla risorsa, attraverso i rappresentanti del personale aziendale o tramite un organismo di parità e i datori di lavoro devono informare annualmente di questo diritto (Art. 7).
- In ogni caso, non può essere inibito ai prestatori di lavoro di divulgare le informazioni sul trattamento salariale loro applicato (c.d. divieto di segreto salariale).
Tutte queste informazioni devono essere fornite in un formato accessibile anche alle persone con disabilità (Art. 8).
La Direttiva impone poi alle imprese di grandi dimensioni (la soglia fissata è quella di 100 dipendenti, al di sotto dei quali, la trasmissione può essere fatta su base volontaria) di fornire un rapporto annuale sul divario retributivo di genere della loro organizzazione ad un “organismo di monitoraggio”, che può anche far parte di uno o più organismi o strutture esistenti.
Queste informazioni devono essere pubblicate e rese disponibili ai lavoratori e alle lavoratrici, ai rappresentanti del personale, all’ispettorato del lavoro e all’organismo per la parità (Art. 9). Tali informazioni, salva diversa previsione interna, dovranno essere fornite:
- entro il 7 giugno 2027, dalle imprese con almeno 150 lavoratori
- entro il 7 giugno 2031, da quelle che ne occupano tra 100 e 149.
Soglia del 5% e strumenti di tutela effettiva
Il limite di tolleranza del gap retributivo di genere per singole categorie viene fissato nella misura del 5% non come obbligo ma come soglia al di sopra del quale il datore di lavoro deve motivare adeguatamente le differenze retributive sulla base di criteri oggettivi e neutri. In assenza, i datori di lavoro devono effettuare una valutazione congiunta delle retribuzioni in cooperazione con le organizzazioni sindacali al fine di individuare i rimedi necessari.
Per garantire una tutela effettiva contro le discriminazioni retributive, la Direttiva introduce alcune misure volte ad agevolare l’azionabilità in giudizio del diritto alla parità di retribuzione. In particolare:
- possono agire in giudizio non solo i lavoratori e le lavoratrici che ritengano lesi i propri diritti ma anche le rappresentanze sindacali, le associazioni e gli organismi di parità;
- l’onere di provare l’insussistenza della recriminata violazione è a carico del datore di lavoro mentre il lavoratore o la lavoratrice può fondare la propria azione giudiziale anche solo su presunzioni; nel caso in cui, però, sia dimostrato che il datore di lavoro non ha ottemperato agli obblighi in materia di trasparenza, l’onere della prova viene invertito del tutto e posto interamente a carico del datore di lavoro.
- In caso di soccombenza, le spese di causa non gravano sul lavoratore/sulla lavoratrice così da non scoraggiare l’affermazione delle proprie ragioni.
- ai lavoratori e alle lavoratrici che abbiano subìto una discriminazione salariale in ragione del genere, è riconosciuto il risarcimento integrale del danno, sia danno patrimoniale (inclusi bonus e benefit in natura) che non patrimoniale, comprendendovi anche quello da perdita di chance, e interessi di mora senza che possa essere fissato un massimale;
- è vietato licenziare, attuare trattamenti ritorsivi o pratiche ulteriormente discriminatorie nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici che agiscono per i loro diritti;
- si impone agli Stati membri di adottare specifiche sanzioni efficaci, proporzionate e con un «reale effetto deterrente» in caso di violazione delle regole sulla parità salariale.
Conclusioni
L’obiettivo dell’Unione Europea con questa Direttiva non è incidere sui sistemi nazionali già esistenti per la determinazione dei salari – che possono, dunque, continuare a essere diversi – ma garantire che le imprese assicurino la parità salariale di genere attraverso la trasparenza dei criteri di determinazione delle retribuzioni.
Nel nostro ordinamento alcuni profili toccati dalla direttiva risultano già disciplinati, in particolare se si guarda al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 – Codice delle pari opportunità tra uomo e donna – e alla Legge n. 162/2021 – Legge Gribaudo – che già contemplano il divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro, il divieto di discriminazione retributiva, il divieto di discriminazione nella progressione di carriera e, dal punto di vista processuale, una procedura d’urgenza azionabile su ricorso del singolo lavoratore/singola lavoratrice o su delega delle organizzazioni sindacali o dei/delle «consigliere di parità» ed inversione dell’onere della prova.
Nonostante il sistema normativo già esistente, il divario retributivo di genere in Italia persiste con un valore medio del 25,6% (a fronte di una media europea del 13%) dovuto a diversi fattori quali, tra i vari, stereotipi di genere, forme di segregazione verticale e orizzontale, ineguale distribuzione fra uomini e donne delle responsabilità di assistenza familiare e parentale; pertanto, l’implementazione della Direttiva rappresenta un’occasione per colmare alcune criticità definendo obblighi di trasparenza effettiva e una nuova soglia di tolleranza del gender pay gap (pari al 5%), nonché riducendo gli ostacoli procedurali incontrati dalle vittime di discriminazione.