News , Talk | 28.10.2019

“You shall not pass!”: l’obbligo di protezione degli utenti da parte degli Internet Service Provider


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Il sempre più diffuso utilizzo dei social network, unito all’aumento delle possibilità e delle occasioni in cui condividere contenuti, ha probabilmente convinto gli utenti che esprimere la propria opinione e/o diffondere notizie on line (attraverso post, video, commenti, etc.) abbia un peso e segua regole diverse da quelle che vengono applicate nella vita “analogica”. Con la conseguenza che, di recente, gli illeciti di natura diffamatoria (e non solo) commessi on line si sono moltiplicati.

Si tratta di condotte che, a causa della facilità e della rapidità con cui un contenuto si diffonde a livello globale, possono avere conseguenze dirompenti e soprattutto un esiguo margine di riparabilità.

Sebbene il vecchio adagio sostenga che sia “meglio prevenire che curare”, in questi casi non è mai stato stabilito, in maniera chiara, a chi spettasse quest’arduo compito e, soprattutto, fino a dove questo “guardiano” avrebbe dovuto estendere la portata della sua vigilanza.

Quel che è certo è che, attraverso alcuni mirati interventi (tra cui, in particolare, la Direttiva del Parlamento e del Consiglio 2000/31, che regola gli aspetti giuridici legati ai servizi della società dell’informazione), il legislatore comunitario ha segnalato l’esigenza di trovare un equilibrio tra l’assenza di un obbligo generalizzato di controllo/supervisione in capo agli Internet Service Provider (“ISP”) e l’onere, per quest’ultimi, di intervenire in caso vengano loro segnalate condotte illecite.

Sempre più spesso, ad integrazione di quello che è un testo legislativo aperto ad interpretazione, è poi intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE” o la “Corte”), che indagando casi concreti ha dato un importante contributo alla definizione del ruolo e dei doveri degli ISP.

Da ultimo, lo scorso 3 ottobre 2019, la Corte si è pronunciata su una vicenda (causa C – 18/18 Eva Glawischnig-Piesczek contro Facebook Ireland Limited) che vedeva come protagonista Eva Glawischnig-Piesczek, una deputata del gruppo parlamentare austriaco dei Verdi, in cui quest’ultima contestava la condivisione da parte di un utente di Facebook di un articolo dal titolo “I Verdi: a favore del mantenimento di un reddito minimo per i rifugiati”. accompagnato con un commento che i giudici austriaci hanno ritenuto tutt’altro che “lusinghiero”.

La CGUE non si è certo lasciata scappare l’occasione di esprimersi su un tema molto dibattuto, ed ha affermato che – secondo la sua più recente interpretazione – l’art 15, paragrafo 1 della Direttiva (sulla base del quale non è possibile per gli Stati membri imporre agli ISP né un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni trasmesse o memorizzate, né un obbligo di indagare la presenza di attività illecite compiute dagli utenti) permetterebbe ai giudici degli Stati membri di ordinare ad un ISP di rimuovere non solo i contenuti dichiarati illeciti di cui questo sia, o sia venuto, a conoscenza, ma anche quelli ad essi identici o dal contenuto equivalente, essendo tali quelli che diffondono di fatto lo stesso messaggio.

Al fine di mitigare la portata (cataclismica, dal punto di vista degli ISP) dell’affermazione di cui sopra, la Corte ha poi provveduto a restringere il perimetro di operatività del suddetto principio, specificando che tali obblighi sono circoscritti alle informazioni e agli elementi specificati nell’ingiunzione presentata dall’utente.

All’ISP, quindi, non può essere imposto un obbligo di valutazione autonoma dei contenuti trasmessi e/o memorizzati; e questo anche al fine di consentire l’individuazione dei contenuti c.d. “identici o dal contenuto equivalente” utilizzando tecniche e mezzi di ricerca automatizzati. In un’ottica di bilanciamento degli interessi coinvolti, la Corte ha quindi ritenuto ragionevole limitare l’impatto, in termini di costi e di tempo, che questo onere avrebbe potuto avere sull’operatività dell’ISP.

Assistiamo così ad un “another brick in the wall” in quello che è l’inquadramento sistematico della responsabilità degli ISP; sempre alla ricerca di un delicato, e molto spesso precario, equilibrio tra l’esigenza di tutelare i diritti di chi utilizza Internet e la necessità di non ingessare quello che, nel bene o nel male, è diventato uno dei principali strumenti di informazione e condivisione.

Mid Level Associate
Marco Losito

Marketing & Communication
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