Media | 25.10.2022

Ristoranti vietati ai bambini, l’ingresso «childfree» è legale?

La tendenza dei ristoranti «childfree» in Italia: le parole di Maria Carla Barbarito 


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La tendenza di aprire locali «no kids» è nata negli Stati Uniti nel 2014 e ora sta dilagando anche in Europa e in Italia. Ma vietare l’ingresso in un locale è legale nel nostro Paese? L’abbiamo chiesto all’avvocata Maria Carla Barbarito, responsabile del dipartimento di diritto di famiglia e successioni dello studio LCA di Milano.

Ristoranti «childfree», una tendenza che dilaga anche in Italia

Negli ultimi tempi si sente parlare sempre più spesso di ristoranti «childfree», locali in cui l’ingresso ai minori non è consentito. La tendenza a inaugurare questo tipo di locali è nata tempo fa in America e da allora si è allargata a macchia d’olio. Oggi il trend dei ristoranti «no kids» dilaga anche in Europa, Italia compresa. Sono ormai alcuni anni che pure nel nostro Paese certi alberghi e ristoranti si propongono in tal senso. Ma è legale vietare l’accesso in un locale pubblico basandosi sull’età come discriminante? «Per comprendere la legittimità di questi divieti bisogna analizzare la legge che li regola», spiega l’avvocata Maria Carla Barbarito, responsabile del dipartimento di diritto di famiglia e successioni dello studio LCA di Milano. Come illustra l’esperta, la legge che regola tali divieti nel nostro Paese è un Regio Decreto n. 635 dell’anno 1940, che all’art. 187 prevede quanto segue: «Salvo quanto dispongono gli art. 689 e 691 cod. pen. gli esercenti non possono, senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni del proprio esercizio a chi le domandi e ne paghi il prezzo». L’avvocata Barbarito spiega che questo articolo da un lato prevede la possibilità di rifiutare le prestazioni a chi le richiede (e sia disponibile a pagare il prezzo), solo a fronte di un legittimo motivo. E, dall’altro, richiama la legittimità del rifiuto solo nel caso in cui ricorrano i presupposti di quanto previsto in due articoli del codice penale. Gli articoli richiamati prevedono che gli esercenti dei bar o dei locali che somministrano bevande alcoliche debbano astenersi dal somministrarle a minori, infermi di mente o persone in stato di manifesta ubriachezza. Quindi, a parte queste ipotesi, la regola è che gli operatori commerciali non possono rifiutare le prestazioni, se non a fronte di un legittimo motivo.

Legittimo motivo? Serve avere maggiore chiarezza

«Il legittimo motivo dovrebbe essere meglio chiarito dalla Giurisprudenza ma certamente è chiaro che non potrà essere l’età, l’orientamento sessuale o la razza» prosegue l’avvocata Maria Carla Barbarito, responsabile del dipartimento di diritto di famiglia e successioni dello studio LCA di Milano. «Età, orientamento sessuale e razza sono tutti elementi discriminatori, e per tale ragione contrastano con la Costituzione». La legittimità di un motivo (che comporti la possibilità di rifiutare la prestazione) si verificherà «allorquando ci sarà altro interesse pubblico da tutelare, per esempio l’ordine pubblico o la quiete. Sarà legittimo escludere dal locale clienti e certamente anche minori che siano rumorosi a livelli intollerabili o che tengano condotte che mettono in pericolo altri utenti. In questi casi vi è un legittimo interesse ossia altro interesse pubblico di protezione di terzi che rende possibile l’esclusione, e in questi casi i minori potrebbero certamente essere allontanati per un legittimo motivo, non per l’età», aggiunge l’avvocata Barbarito.

Cosa fare se il motivo non è legittimo

Cosa si può fare se invece viene vietato l’ingresso di un minore (o di qualsiasi persona) senza che questo sia a fronte di un legittimo motivo? «Se il divieto fosse immotivato in base alla normativa attuale, l’utente escluso può richiamare l’autorità, e il commerciante sarà passibile di una sanzione amministrativa», spiega l’esperta. «L’auspicio è quello che il legislatore rinnovi o specifichi una regolamentazione maggiore. In questo momento se un ristorante rifiuta l’ingresso dei bambini, senza che ci sia una ragione che legittimi l’esclusione ma solo l’età, i genitori possono difendersi chiamando l’autorità e segnalando il locale». La sanzione amministrativa va da 550 euro a 3000 euro. E se il ristorante continua a non accettare minori? «In caso di reiterazione ci sarà un aumento o un aggravio della sanzione, ma resta comunque una sanzione amministrativa», aggiunge l’avvocata Barbarito.

Il caso delle sale cinematografiche

La responsabile del dipartimento di diritto di famiglia e successioni dello studio LCA di Milano parla del caso dei divieti d’ingresso ai minori nelle sale cinematografiche in caso di proiezioni di pellicole non adatte a loro. «Del resto il nostro legislatore proprio a tutela dei minori stessi ha escluso il loro ingresso in alcune sale cinematografiche». Nel caso vengano proiettati film classificati come vietati ai minori, i minori dovranno per forza essere esclusi, come si legge nel Decreto Legislativo n.203 del 7 dicembre 2017. «Questo perché la classificazione delle opere cinematografiche (effettuata dai distributori e valutata dal Ministero della cultura) deve bilanciare la libera manifestazione del pensiero e la protezione dell’infanzia e dei minori», prosegue la specialista. Dunque in caso di locali in cui vengano proiettate pellicole cinematografiche classificate come vietate ai minori, sarà legittimo non far entrare qualcuno in base all’età.

Il divieto potrebbe essere legittimo se esteso a tutti, in alcune aree

Oggi il divieto se immotivato risulterà quindi illegittimo, ma l’avvocata dello studio LCA di Milano ipotizza uno scenario interessante, dicendo che potrebbe essere legittimo, anzi a suo avviso auspicabile, se venissero riservate alcune aree dell’albergo, o dei locali, non come «childfree»ma come zone «meno rumorose o con maggior privacy o in cui tutti gli utenti devono rispettare toni bassi della voce, come accade già ad esempio nei treni».

L’intervista a Maria Carla Barbarito per Cook sul corriere.it


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